Napoli, tiro al bersaglio sugli immigrati

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NAPOLI — Un immigrato vale l’altro, nel buio della mente dei balordi. Così, nelle sere d’agosto, tra i vicoli del centro antico, scatta il tiro al bersaglio sui ragazzi di colore. Passatempo criminale, lo sconvolgente “gioco” di un gruppo di giovanissimi. Due casi, avvenuti tra Forcella e il Duomo: due cittadini africani, un nigeriano e un senegalese, finiti sotto i proiettili di una banda, senza che vi fossero legami né liti pregresse tra vittime e aggressori. E ora l’associazione “3 Febbraio”, la rete antirazzista con sedi in tutta Italia, da sempre voce di chi è straniero e subisce soprusi, denuncia il preoccupante fenomeno. «Nelle ultime due settimane sono stati aggrediti con armi da fuoco due africani. Napoli non può fare finta che questo non accada — spiega Gianluca Petruzzo di “3F” — . Le forze dell’ordine fanno tutto quello che possono, ma c’è un problema di cultura e di sensibilità sul territorio. Abbiamo chiesto aiuto anche all’Arcigay, alla Cgil, ai presìdi di legalità e assistenza, purtroppo ad agosto tante finestre sono chiuse. Ora ci appelliamo anche al cardinale Sepe ».
Un nigeriano, Henry Kwasu, è stato ferito alle gambe da una pallottola ed è ancora ricoverato in ospedale. L’altro, S.B.C., senegalese, è rimasto indenne per puro caso dopo che gli hanno sparato alle spalle. Ma analoghi raid, secondo un portavoce della comunità pachistana, avrebbero colpito altri immigrati. E l’emergenza resta invisibile. Perché, come spiega Petruzzo, «molti ragazzi vittime di questi episodi hanno paura di denunciare».
Con la città svuotata, le strade deserte del ferragosto solcate solo dagli extracomunitari di rientro da un lavoro o da un incontro tra amici, qualcuno ha pensato di animare la serata terrorizzando quei “bersagli” mobili. Così racconta anche S.B.C., nato nel novembre 1983 a Dakar. Ha uno sguardo diretto, e ancora venato di rabbia. Mostra il passaporto, ma chiede che i suoi dati non siano pubblicati per esteso: «Non voglio che i miei, in Senegal, si preoccupino: ho genitori anziani e tanti fratelli».
Racconta, in un italiano lento e puntuale. «È stato come un tiro al bersaglio. È accaduto tra lunedì e martedì scorso, è un miracolo che io sia in ospedale. Mi hanno sparato alle spalle, con una pistola, senza motivo. Stavo risalendo via Duomo quando all’improvviso ho sentito delle urla alle mie spalle, ma ho tirato dritto. Non so se qualcuno voleva avvertirmi perché aveva visto una pistola puntata su di me o se uno degli aggressori voleva farmi girare per trasformarmi in un bersaglio fermo, più facile». Poi, i colpi. «Io ne ho sentito uno, ma ero troppo spaventato. Mi sono girato e ho notato due giovani. Uno di loro aveva la pistola in pugno, continuava a puntarla su di me, forse con aria di sfida. Poi sono scappato. Alcuni amici mi hanno detto che la stessa cosa, alcuni giorni prima, è accaduto ad un nigeriano. Dio ha voluto salvarmi. Credo solo in lui».
Tutto avviene nella stessa area in cui, nel 2005, fu ucciso il senegalese Ibrahim Diop: assassinato con una pugnalata da un balordo che aveva molestato lui ed altri connazionali mentre erano in coda al call center di via Cesare Rosaroll. Era pieno agosto anche quella volta, il 19. Dopo il moto d’indignazione della comunità africana e della “3F”, l’assassino fu individuato e arrestato: Gennaro Caldore aveva solo 19 anni quando uccise Ibrahim. Quando lo catturarono, tre settimane dopo, prendeva il sole su una spiaggia di Peschici, in Puglia, e balbettò qualcosa che somigliava a un movente. «Io non lo volevo ammazzare, ma dopo che ci eravamo avvicinati, quello mi guardava fisso, non si metteva paura».
Stessa storia di altri che hanno
perso la vita, lontano dal loro Paese, per non piegarsi alla violenza. Proprio ieri, a 24 anni dal suo assassinio avvenuto a Villa Literno, le associazioni Libera, Comunità di Sant’Egidio e Cgil Campania hanno lasciato fiori e testimonianze sulla tomba di Jerry Masslo, ucciso per aver reagito al raid dei rapinatori mentre dormiva nel ghetto dei raccoglitori dei pomodori: era agosto anche allora,
1989. Terra macchiata del sacrificio di immigrati, quella domizia. La stessa dove, il 18 settembre 2008, furono uccisi dai casalesi dello stragista Giuseppe Setola sei immigrati africani: tutti innocenti. Gli assassini volevano inviare un “segnale” di morte agli spacciatori di colore. Un nero valeva l’altro, anche per quei mafiosi.


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