“Non ho mai autorizzato quel testo” il magistrato grida al tradimento

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ROMA. È , INNANZITUTTO, un uomo furibondo Antonio Esposito. Uno che, alle 9 di sera, ha alle spalle una giornata che dire pessima è dire poco. Quando risponde al telefono dice subito: «Non ne posso più». Interviste? «Nemmeno a parlarne, non ne posso, né ne voglio fare. Ho parlato a lungo con il presidente Santacroce. Con il quale ho chiarito fin nei minimi dettagli che cosa ho detto, che rapporto ho con quel cronista, l’evidente frase non veritiera dell’intervista, il fax che ho ricevuto alle 19 e 30 dell’altra sera e che ho autorizzato. Quella era la mia intervista. Quella sola, e non un’altra».

IL TONO è cortese. Lui, magistrato fratello di magistrato e con un figlio magistrato, sa che cosa si può e che cosa non si può dire a un giornalista dopo essere stato il presidente del processo più importante per la storia d’Italia. L’inflessione napoletana è pesante, giusto quella del testo registrato che il giornalista del Mattino Antonio Manzo ha dato al suo direttore che poi ha messo sul sito la parte incriminata. Dalla quale si deduce con chiarezza il tono colloquiale. Lì le considerazioni sul “non poteva non sapere” ci sono. Ma se lo contesti ad Esposito lui davvero si arrabbia. «Eh no – dice togliendoti la parola – questo non me lo può dire nessuno. Per me c’è un solo testo di questa intervista, l’unico che io ho autorizzato dopo un’attenta lettura perché tutto si può dire di me, tranne che sono un fesso. No, non sono nato ieri, non sono affatto un fesso».
No, non vuole fare altre interviste Antonio Esposito, ma la sua delusione per un’amicizia tradita è talmente forte che inevitabilmente parla. Svela i retroscena di un’intervista su cui sono saltati su come pirati tutti quelli del Pdl, Ghedini e Coppi in testa, con l’obiettivo di affondare il processo Mediaset. Esposito tira un sospiro e dice soltanto: «Noi stiamo scrivendo la sentenza». Punto. Dunque il processo va avanti e, da indiscrezioni raccolte in ambienti della Cassazione e rimbalzate nei corridoi della politica, si può dare anche una data alle prossime motivazioni della sentenza. Arriveranno con grande probabilità a fine settembre, metteranno il timbro definitivo a un processo che si è chiuso il primo agosto con il suo dispositivo.
E l’intervista di Esposito? Quella non ha alcuna incidenza sul processo. Segna semmai la storia personale di Esposito. Chiude per sempre la sua amicizia con il giornalista del Mattino: «Ma come ha potuto farmi una cosa del genere? Perché lo ha fatto? Chi c’è dietro? Quando mi ha chiamato già sapeva di volermi estorcere quella frase sulla teoria del non voleva non sapere ». Ieri mattina, a intervista uscita, Manzo ha chiamato Esposito esultante: «Hai visto che colpo?». Esposito, di ghiaccio, gli ha risposto: «Vedo solo che sei un uomo da quattro soldi. Hai tradito la nostra amicizia». Questo è il punto che arrovella Esposito, il tradimento. «Lo conosco da quarant’anni – continua a ripetere – se fa il giornalista lo deve soltanto a me. Mi ha chiamato, mi ha proposto l’intervista, gli ho detto con estrema chiarezza che io avrei potuto parlare solo di temi generali, niente di specifico, niente che si riferisse al processo. Abbiamo parlato come possono fare due amici, certo, ma gli detto chiaro che sul Mattino avrei autorizzato soltanto un testo scritto. Quel testo che ho ricevuto al mio fax alle 19 e 30 dell’altra sera. Quello per me era il testo, l’unico testo, quello e non un altro. Invece lui, dopo il mio via libera, ha inserito altre considerazioni».
Adesso Esposito medita se denunciare Manzo all’Ordine dei giornalisti. Su di lui incombe la minaccia di un’azione disciplinare del Guardasigilli Anna Maria Cancellieri. Di certo il primo presidente della Corte di Cassazione Giorgio Santacroce, che ha gestito tutto il processo Mediaset all’insegna del fair play ma anche dell’estremo rigore, è davvero arrabbiato con lui perché l’intervista rischia di sbilanciare la Corte contro Berlusconi. Esattamente quello che Santacroce ha cercato di evitare.


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