Pensioni speciali, pronti i ricorsi sul contributo salva assegni

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ROMA — Dopo la recente sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro, quelle superiori a 90 mila euro l’anno, c’è un altro contributo di solidarietà, meno noto, ma che riguarda un numero maggiore di persone, che per il momento sopravvive, ma contro il quale si sono già mobilitate le categorie interessate. Si tratta di un prelievo contenuto anch’esso nel decreto salva Italia del dicembre 2011, lo stesso che rafforzava il contributo sulle pensioni d’oro già istituito dal governo Berlusconi. La sua particolarità sta nel fatto che colpisce non solo i pensionati ma anche i lavoratori: quelli iscritti ai cosiddetti fondi speciali Inps: elettrici, telefonici, fondo volo, ex fondo Inpdai (dirigenti d’azienda), ex fondo trasporti.
La norma (articolo 24, comma 21 del decreto legge 201 del 6 dicembre 2011) prevede che dal primo gennaio 2012 fino al 31 dicembre 2017 si applichi, come spiega la relazione tecnica, «un contributo di solidarietà per i fondi speciali che hanno beneficiato di regole più favorevoli rispetto al sistema generale». Il contributo è finalizzato ad alleggerire il profondo rosso in cui versano tutti questi fondi sia perché erogano prestazioni generose appunto, sia perché è progressivamente peggiorato il rapporto attivi-pensionati.
La misura del contributo è fissa per i lavoratori iscritti ai fondi speciali ed è pari allo 0,5% della retribuzione imponibile, ma colpisce solo coloro che avevano maturato almeno 5 anni di versamenti prima del 31 dicembre 1995, quando fu avviato il processo di armonizzazione alle regole generali previsto dalla riforma Dini. Si tratta quindi dei lavoratori più anziani. Il contributo varia invece da un minimo dello 0,3% a un massimo dell’1% dell’importo della pensione per i pensionati, sulla base degli anni di versamenti al fondo. Meno sono e meno si suppone sia stato il beneficio ricevuto dal sistema di calcolo più generoso vigente nei fondi speciali e quindi minore è il contributo di solidarietà oggi richiesto: 0,3% per chi ha da 5 a 15 anni di versamenti, 0,6% da 15 a 25 anni, 1% oltre i 25 anni.
Come si vede la logica seguita dalla riforma Fornero fu la stessa di cui si torna a parlare ora, quella cioè di chiedere una piccola compensazione del «regalo» pensionistico ricevuto — ovviamente in maniera del tutto legittima in base alle regole allora vigenti — rispetto ai contributi effettivamente versati. La stessa riforma esclude dal prelievo le pensioni di importo inferiori a 5 volte il minimo (2.477 euro al mese), gli assegni di invalidità e inabilità. Alla fine le entrate previste sono di appena 75 milioni l’anno. Una misura poco più che simbolica, ma che esplicitamente fa riferimento alla necessità di intervenire su pensioni che, come dice l’articolo 24, sono state calcolate in base a «parametri più favorevoli».
È probabile però che anche questo contributo, come quello sulle pensioni d’oro, finirà davanti alla Corte costituzionale. Associazioni di categoria come Federmanager hanno infatti promosso cause davanti alla magistratura contro il prelievo e ora attendono con ansia che qualche tribunale rinvii alla Consulta la questione, nella speranza che anche questa volta la Corte si pronunci per l’incostituzionalità del contributo, assimilandolo a un «prelievo tributario» che, in quanto tale, non può essere imposto a una platea limitata di contribuenti discriminandoli rispetto ad altri con lo stesso reddito.
Del resto, si chiedono gli interessati, se chi prende più di 90 mila euro all’anno è stato salvato perché chi prende di meno dovrebbe continuare a pagare? E si conferma così la difficoltà di riequilibrare i regali previdenziali, legittimi ma sconsiderati, concessi in passato.
Enrico Marro


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