Quella terra di nessuno in mano agli jihadisti che ha segnato il destino del “traditore” Morsi

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IL CAIRO — «Volete sapere perché è stato defenestrato Morsi? Perché stava vendendo il Sinai ai palestinesi». Lo racconta il tassinaro all’imprenditore, lo spiffera all’amico il piccolo commerciante, lo urlano in strada i vigilantes dei comitati popolari per rinfocolare la loro rabbia contro i Fratelli musulmani.
Nata chissà dove, questa vulgata pian piano ha preso forma, ed è cresciuta fino a diventare una rocciosa verità alla quale tutti credono ciecamente. La leggenda metropolitana secondo cui l’ex presidente Mohammed Morsi, deposto lo scorso 30 giugno, volesse alienare il 40 per cento del petroso deserto del Sinai ai barbuti di Hamas, così come la Nubia al dittatore sudanese Omar Al Bashir e parte del deserto occidentale ai libici di Tripoli, è ormai sulla bocca di molti.
Ci si può chiedere da dove nasca questa leggenda, e se contenga o meno parti di verità. Una cosa è certa: per gli egiziani il Sinai è una roccaforte della loro identità territoriale, un prezioso avamposto che difende le fertili valli del Nilo. L’ampia penisola (più di 60mila chilometri quadrati) fu infatti aspramente contesa tra Israele e l’Egitto durante la Guerra dei Sei Giorni: conquistata dal governo di Gerusalemme nel 1967, ritornò all’Egitto soltanto undici anni dopo grazie agli accordi di Camp David.
Il 5 giugno 1967 alle 7.45 del mattino due attacchi a sorpresa dell’aviazione israeliana annientarono in poche ore buona parte dei 420 aerei da combattimento del Cairo di fabbricazione sovietica e distrussero le piste di decollo egiziane. Quando il 10 giugno successivo cessarono le ostilità, Israele aveva quadruplicato la sua estensione geografica, poiché aveva strappato le alture del Golan alla Siria, l’insieme delle conquiste del 1948 in territorio palestinese alla Giordania e la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai fino al canale di Suez all’Egitto. Solo undici anni dopo, dopo dodici giorni di negoziati segreti a Camp David, il presidente egiziano Anwar al Sadat e premier israeliano Menachem Begin raggiunsero l’accordo
che prevedeva il ritiro dal Sinai delle forze armate dello Stato ebraico.
Per tornare ai nostri giorni nostri, il principale motivo che avrebbe spinto il generale Abdel Fatah Al Sisi a porre termine alla presidenza Morsi riguarda proprio l’abbandono della penisola nelle mani di gruppi jihadisti, i quali negli ultimi dodici mesi hanno moltiplicato i loro attacchi contro le guarnigioni egiziane. E ogni volta che Al Sisi ha voluto lanciare un’operazione militare contro questi gruppi armati, è sempre stato bloccato da Morsi. «Non voglio che i musulmani versino il sangue di altri musulmani », gli ha detto lo scorso novembre, nel momento in cui il capo delle forze armate
egiziane stava per dare il via a una vasta operazione anti-terroristica per vendicare i morti di una serie di sanguinosi attentati nella penisola.
Fu quello il primo screzio tra Morsi e il generale, l’ordine di fermare una campagna contro i jihadisti, impartito soltanto poche ore prima che questa fosse lanciata.
È vero, il trattato di pace con Israele prevede che la zona sia demilitarizzata, il che complica la faccenda sul piano della sicurezza, ma la riluttanza di Morsi a intervenire contro gli islamisti ha fatto sorgere il dubbio nella mente dei vertici dell’esercito che questi anteponesse le sue ambizioni nella regione agli interessi e alla sicurezza dell’Egitto. I militari erano anche impensieriti e turbati dall’alleanza che il presidente appena deposto aveva stretto con i militanti di Hamas a Gaza, che molti considerano responsabili degli attacchi nel vicinissimo Sinai.
Una volta caduto Mubarak, nel caos dell’interregno, la penisola si sguarnì di soldati, e poco dopo l’elezione di Morsi, sedici militari furono uccisi in un solo attacco. Lo scorso maggio furono invece rapiti sei poliziotti. Anche in quell’occasione l’ex presidente Morsi non volle intervenire militarmente, ma riuscì a ottenere che questi fossero liberati tramite la mediazione dei suoi alleati salafiti. Agli stessi salafiti chiese anche di intercedere presso i jihadisti per fermare le violenze. Ma gli attentati nel Sinai sono continuati. Fino a quello di ieri mattina.


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