Seconde case e Irpef, il governo fa retromarcia

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ROMA – Il governo fa retromarcia sulla tasse aggiuntive per le seconde case sfitte. Il decreto che ha cancellato definitivamente la prima rata dell’Imu sull’abitazione principale prevedeva anche il «ripristino parziale dell’imponibilità ai fini Irpef dei redditi derivanti da unità immobiliari non locate». Un aumento della pressione fiscale che doveva servire non a coprire il mancato gettito Imu sulla prima casa ma a finanziare un’altra misura contenuta nello stesso testo, la deducibilità fino al 50% dell’imposta sugli immobili strumentali delle imprese.
Il ritorno dell’Irpef sulle seconde case era fissato all’articolo 6 della bozza entrata a Palazzo Chigi. Ed in consiglio dei ministri era passata senza particolari problemi. Ma ieri, due giorni dopo il via libera, il governo ha fatto dietrofront. Un comunicato di Palazzo Chigi dice, ad ora di pranzo, che non ci sono «nuove ipotesi di tassazione sulle seconde case», aggiungendo che «tali indiscrezioni evidentemente si riferiscono a bozze circolate nei giorni scorsi e che non faranno parte del provvedimento» che oggi dovrebbe andare in Gazzetta Ufficiale. Ma che ieri sera ancora non era pronto e dunque bisognerà attendere la versione definitiva per sapere con certezza come stanno le cose. Che cosa è successo?
L’aggravio Irpef avrebbe colpito 6 milioni e mezzo di immobili. «Una platea molto ampia — spiega il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta — che comprende anche fasce deboli, come gli emigranti che magari lavorano al Nord e hanno una casa nel loro paese del Sud, dove tornano solo per le vacanze». Ma è stato soprattutto il Pdl a fare pressione. «L’ipotesi di colpire la casa di villeggiatura — attacca il capogruppo alla Camera Renato Brunetta — più che una svista è una proposta diabolica, una follia». Da qui la decisione di cancellare quell’articolo dal testo finale. Una scelta che però, spiegavano al Tesoro, inevitabilmente avrebbe portato via dal decreto anche l’altra misura, e cioè la deducibilità a favore delle imprese.
Fino a tarda sera una soluzione non è stata trovata e quindi probabilmente se ne riparlerà nella legge di Stabilità, la vecchia Finanziaria, che il governo deve presentare in Parlamento entro la metà di ottobre. Resta da capire con quale copertura. Era lo stesso dossier Saccomanni, il documento con le nove ipotesi sulla riforma dell’Imu presentato ad inizio agosto del dipartimento delle Finanze, a suggerire di «reintrodurre la tassazione del reddito figurativo delle abitazioni sfitte in Irpef e utilizzare il gettito per coprire la deducibilità dell’Imu dal reddito d’impresa». Non un blitz in zona Cesarini, dunque, ma una proposta che viene da lontano. Dopo il dietrofront di ieri non sarà facile trovare i soldi per le aziende. Tanto più che entro la fine del mese il governo deve cercare un altro miliardo per rinviare di tre mesi, come ha ribadito ieri Baretta, l’aumento dell’Iva, che scatterebbe dal primo ottobre. Una priorità per il presidente del Consiglio Enrico Letta che si dice «pronto a fare di tutto» per portare a casa il risultato. Ma anche un rebus. Un aiuto non potrà venire nemmeno dalla Service Tax, la nuova tassa sui servizi locali che scatterà soltanto l’anno prossimo. Dice ancora Letta che sarà più «bassa della somma di Imu e Tares e saranno garantiti criteri di equità e progressività». Proprio per coprire quella differenza il governo dovrebbe mettere sul piatto 2 miliardi di euro sempre nella legge di Stabilità. E aggiunge che «non sarà caricata sugli affittuari contro i proprietari». Proprio per questo ci dovrebbe essere un tetto massimo del 20% sul gettito complessivo che i Comuni potranno prendere dagli inquilini.
Lorenzo Salvia


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