Un’amministrazione alla riconquista della fiducia e trasparenza perdute

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In conferenza stampa e in tv, il presidente Obama difende l’operato della National Security Agency, ma ammette l’intercettazione della Rete BenOld
Il presidente statunitense Barack Obama cerca di rassicurare gli utenti della Rete che il programma di monitoraggio della Rete è rispettosa della privacy e che non lede quel diritto alla libertà d’espressione sancito dalla Costituzione. Lo fa ormai in ogni occasione che gli si presenta. Nell’ultima conferenza stampa alla Casa Bianca prima della pausa estiva ha anche presentato un programma di riforma del Patriot Act, prevedendo una modifica di quattro punti per riconquistare la fiducia degli americani. I punti della riforma sono tutti all’insegna della trasparenza, che è stata messa in discussione con le rivelazioni del «Datagate». Il punto più significativo è una riforma della «Foreign Intelligence Surveillance Court» che prevede una sorta di garante delle comunicazioni anche per i cittadini non americani, ma che vivono negli Stati Uniti.

Intervenendo a una trasmissione televisiva ha ribadito con forza la linea di difesa dopo le rivelazioni di Edward Snowden sull’esistenza di un programma per «spiare» la Rete da parte della National Security Agency. Per Obama, Prism, questo il nome del programma, non era un vero e proprio programma, ma solo un’attività di routine che puntava «intercettare» messaggi ritenuti potenzialmente «pericolosi» per l’interesse nazionale, dimenticando che per intercettare serve conoscere gli account, la posta elettronica di chi è on-line.
Una linea di difesa debole, dunque, che chiude gli occhi su quanto ha rivelato Snowden e su quanto hanno confermato giornali come l’inglese «Guardian» e lo statunitense «New York Times». Ma Obama deve vedersela anche con le cancellerie europea, che hanno chiesto spiegazioni all’alleato americano sul perché cittadini del loro paese possono essere stati spiati dagli Stati Uniti.
Finora, Obama ha anche sostenuto che le maggiori imprese americani sono state sì coinvolte nell’azione della Nsa, ma che hanno agito, come d’altronde il servizio di sicurezza nazionale, nel rispetto delle leggi. Inizialmente, Google, Apple, Facebook, YouTube e altre imprese non hanno confermato la loro «collaborazione», ma quando Snowden ha fornito dettaglia sul loro comportamento, hanno dovuto cambiare versione, assestandosi sul rispetto delle regole che si sono date per non violare la privacy di chi accede ai loro siti o che usa i suoi programmi informatici.
Dopo la scoperta dell’esistenza di Echelon (e la sua annunciata «chiusura»), è la seconda volta che gli Stati Uniti sono sul banco degli accusati nella Rete. Wikileaks ha reso pubblici dati e informazioni sulle attività militari in Iraq e sulle comunicazioni tra molte sedi diplomatiche e il dipartimento di stato. Quello che però ha mobilitato mediattivisti e associazioni dei diritti civili è come Washington e il Pentagono hanno reagito contro Julian Assange, organizzando una vera e propria campagna mediatica e politica contro il fondatore di Wikileaks. La seconda volta con Prism.
In questo caso è emersa la «collaborazione» delle maggiori società informatiche nell’attività di controllo della Rete. Un vero cambiamento di comportamento da parte delle major della Rete, che ha fatto sì che si profilasse all’orizzonte l’avvenuta costituzione di un complesso-militare digitale, potente come il suo antenato e fonte di una democrazia «dimezzata».
Le prese di posizione di Obama, compreso l’annuncio della riforma del Patriot Act e della «Foreign Intelligence Surveillance Court», più che tranquillizzare hanno mostrato un potere politico che di fronte alla Rete, sceglie decisamente la strada del controllo della comunicazione on-line, quasi che Internet sia un luogo pericoloso da reprimere. Una scelta, quella di Obama, che finora non ha pagato sul piano dell’immagine e, cosa più importante, non ha smentito il fatto che ci siano «analisti» che controllano le comunicazioni on-line.


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