“Via le prostitute dalle strade” la crociata dei sindaci per far riaprire le case chiuse

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ROMA — «Salviamo i nostri marciapiedi». La crociata parte dal Veneto e arriva in Abruzzo. Tanti piccoli comuni, un unico obiettivo: liberare le strade dalle lucciole. Come? Non a suon di multe e ordinanze, ma riaprendo le case chiuse. Sul tavolo un referendum abrogativo pronto a rottamare, dopo 55 anni, la legge Merlin. La missione pare quasi impossibile: 500 mila firme entro fine settembre.
La carica dei comuni è partita in piena estate da Mogliano Veneto (Treviso): il sindaco leghista Giovanni Azzolini ha infatti promosso un referendum per
abrogare parzialmente la legge Merlin. L’obiettivo è cancellare gli articoli che impediscono l’apertura di case di tolleranza, senza toccare le norme che puniscono il reato di sfruttamento della prostituzione. La campagna si è rapidamente diffusa a livello nazionale, con centinaia di punti attivi per la raccolta firme. Tutti uniti i promotori nel rivendicare la loro missione: «Restituire decoro alle strade cittadine». Gli ultimi in ordine di tempo a sottoscrivere il referendum sono il sindaco di Miane (Treviso), Angela Colmellere, quello di Calalzo (Belluno), Luca De Carlo e il primo cittadino di Montesilvano (Pescara), Attilio Di Mattia, che nei giorni scorsi aveva proposto anche l’istituzione in città di “box del sesso”, sul modello Zurigo.
Al centro della crociata, il mercato del sesso in Italia: un business che muove 9 milioni di clienti (tra occasionali e abitua-li), 5 miliardi di euro e 70 mila prostitute. Ciclicamente si prova a regolamentarlo a suon di leggi, ordinanze comunali e multe. A partire dalla legge Merlin, che nel 1958 ha chiuso le case di tolleranza. Risultato? Negli anni le lucciole si sono riversate sui marciapiedi. Non solo. Nel nostro Paese i bordelli non hanno mai davvero chiuso, semmai hanno cambiato nome (sexy disco, centri massaggi) o collocazioni (alberghi, appartamenti).
“Outdoor” e “indoor”, così gli analisti distinguono il mercato da marciapiede rispetto a quello tra quattro mura. Ed è proprio quest’ultimo in espansione, soprattutto dopo le ordinanze comunali antilucciole del 2008. Tanto da avvicinarsi nei numeri al mercato su strada. Tradotto: delle 70 mila prostitute stimate in Italia (dal Gruppo Abele), sempre più oggi hanno un tetto sulla testa. Altro che abolizione delle case chiuse: le cronache
raccontano il ritorno ai cinema, la novità delle sale Bingo e slot machine, la diffusione di centri relax (specialità di cinesi e thailandesi) e il boom di appartamenti. Senza dimenticare i locali mascherati da innocui night club. Sono i bordelli del 21° secolo. E non è una buona notizia: «Sembra paradossale, ma la strada è più sicura — spiega Vincenzo Castelli, presidente di On the road, associazione di sostegno alle vittime della tratta — per noi è più difficile intercettare le ragazze sfruttate al chiuso». E legalizzare i bordelli? Le associazioni frenano: nei Paesi dove sono stati riaperti, non si è risolto il problema della tratta, né quello dello sfruttamento.
La via referendaria viene liquidata da Pia Covre, del Comitato per i diritti civili delle prostitute, con poche parole: «È un’iniziativa poco seria, che non coglie la complessità del fenomeno e rischia di risolversi in un ennesimo spot politico. Ne riparleremo quando arriveranno a 250 mila firme».


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