Al Congresso sfida in salita Repubblicani e democratici sempre più tentati dal no

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NEW YORK — Mentre si avvicina la settimana decisiva per l’intervento americano in Siria, la confusione regna sovrana nelle aule vuote del Congresso. Tutto lascia pensare che l’autorizzazione auspicata da Obama sia lontana dall’avverarsi. «Se la Camera dovesse votare oggi la risoluzione — ha scritto il sito “Politico”, house organ di Washington — Obama perderebbe e sarebbe davvero una grande perdita». Al momento l’amministrazione ha incassato l’ok della Commissione esteri del Senato (con 10 voti a favore, 7 contrari e un astenuto) a una risoluzione che, stabilendo il limite di 60 giorni per l’intervento con una sola possibilità di proroga, appare comunque «depotenziata» rispetto all’originale. E se l’appoggio del presidente (repubblicano) della Camera John Boehner e di Eric Cantor hanno fatto sperare in un’approvazione da parte dei conservatori, i due sarebbero in grado di trascinare sul fronte del sì tra i 50 e i 60 deputati. Sul voto siriano starebbero emergendo due fazioni repubblicane: da un lato gli interventisti guidati dal senatore John McCain, dall’altro i libertari scettici capitanati da Rand Paul e Paul Rubio. Anche il fronte del sì resta tiepido: Boeher e Cantor hanno dichiarato pubblicamente che non faranno pressione sui colleghi poiché considerano la scelta «un voto di coscienza».
Al di là delle questioni di principio, il problema principale per il partito resta la base contraria al coinvolgimento americano, come ha sintetizzato nei giorni scorsi in 140 caratteri Justin Amash, repubblicano del Michigan: «Se voterete sì all’azione militare in Siria — ha scritto su Twitter — preparatevi a sbaraccare i vostri uffici. C’è un’opposizione pubblica senza precedenti». Qualche punto interrogativo bisognerà pure metterlo in conto se addirittura un generale dell’esercito devoto all’interventismo come Martin Dempsey ha inviato una lettera al Congresso sostenendo che «un coinvolgimento più profondo sarà difficile da evitare», smontando così in una frase la garanzia di Obama di «un’azione limitata».
La stessa cautela si ritrova, purtroppo per il presidente, anche tra i democratici, con Nancy Pelosi che in un’intervista al settimanale Time ha dichiarato: «Non guiderò la carica del sì ma sostengo il presidente». La rappresentante della Camera, considerata cruciale per convincere i compagni di partito ad aderire al piano dell’amministrazione, insieme a Steny Hoyer, altro interventista dichiarato, sarebbe in grado di assicurare al presidente non più di 100 voti alla Camera. Il partito, che pure, come ha scritto William A. Galston, ex consulente di Bill Clinton — a partire dalla fine della Guerra Fredda si è unito sull’idea di «utilizzare il potere americano per prevenire genocidi e violazione di diritti umani» — risente delle esperienze in Iraq e Afghanistan e teme l’inizio di un nuovo doloroso conflitto.
A rassicurare l’amministrazione è arrivato ieri il democratico Harry Reid che ha parlato di 60 voti certi (su 100) e promesso che il Senato approverà la risoluzione. Mentre i colleghi Joe Manchin e Heidi Heitkamp starebbero lavorando a un documento che dà ad Assad 45 giorni di tempo per firmare i trattati internazionali che vietano l’utilizzo di armi chimiche.
Nella confusione, prendere tempo quella che sembra l’unica soluzione possibile per tutti. Non è semplice fare lobbying con i senatori in vacanza. Il Washington Post ha riferito che gli alti funzionari della Casa Bianca sono al lavoro da giorni per esercitare pressione sui democratici della Camera, mentre dall’Europa il presidente Obama — che ha cancellato un viaggio in California previsto per lunedì — avrebbe effettuato personalmente 25 telefonate bipartisan per convincere i colleghi ad agire.
Serena Danna


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