La Siria: “Sì alla proposta russa” Obama: la diplomazia ha una chance

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NEW YORK — Barack Obama lo annuncia nella sua offensiva mediatica: «La diplomazia adesso ha una chance, l’apertura russa è una svolta molto positiva sulla quale lavorare. Se si rivelerà concreta potrebbe fermare le armi». Poi spiega la sua posizione: «Ma adesso noi non dobbiamo allentare la presa su Assad. Non possiamo accettare che lui sia una minaccia per la sicurezza dell’America ». Nella crisi siriana il blitz militare fa un altro passo indietro, riaprendo il tavolo della politica. Il giorno dopo la mossa di Mosca sul controllo delle armi chimiche, tocca a Damasco muoversi e la risposta è subito positiva: «Accettiamo il piano», dice il ministro degli Esteri Walid Muallem. Che aggiunge: «Indicheremo i siti del nostro arsenale, li chiuderemo e sospenderemo la produzione. Siamo anche pronti a firmare la convenzione sull’uso dei gas».
Inizia così quella che il Washington Post definisce «la doppia sfida» del presidente americano: da una parte l’azione diplomatica che passa per le Nazioni Unite e dall’altra convincere comunque il Congresso a dare il via libera: «È l’unico modo per non farci prendere in giro da Assad. Non si tratta di dargli o meno fiducia, dobbiamo obbligarlo a fare sul serio, senza giochi e perdite di tempo che non tollereremo», ripete.
Ma per entrambe le partite serve tempo, così Obama chiede ai senatori incontrati ieri poche ore prima del discorso alla nazione di rinviare la votazione: «Ci sono importanti novità che vanno valutate ». E al Congresso si sta già lavorando ad una nuova bozza delle mozione per collegare l’intervento militare a quanto sta accadendo all’Onu. Anche i repubblicani John McCain e Lindsay Graham scendono ora in campo per sostenere il presidente: «Adesso più che mai bisogna dire sì al blitz: è l’unica strada per spingere Assad sulla strada della pace».
Il centro della scena torna ad essere il Palazzo di Vetro, dove si cerca un modo per tradurre in pratica la proposta russa. Dopo colloqui telefonici tra Obama, Hollande e Cameron è la Francia a muoversi proponendo una risoluzione che prevede: la condanna di Damasco per la strage del 21 agosto, il deferimento alla Corte Penale Internazionale e soprattutto il ricorso al Chapter 7, la clausola che autorizza l’uso della forza nel caso che la Siria non rispetti quanto promesso. Ma su questo ultimo punto si riaccende lo scontro con la Russia, e la tensione torna alta tanto da far slittare prima ancora di iniziare la riunione d’emergenza che gli stessi diplomatici di Mosca avevano chiesto. Bisogna limare ancora le posizioni per evitare un nuovo muro contro muro come quello che ha fatto fallire i tentativi di mediazione nei giorni scorsi. E Putin dice: «Siamo davanti ad una svolta positiva, ma gli Stati Uniti per prima cosa devono rinunciare del tutto ai raid». Il suo ministro degli Esteri, Lavrov è ancora più esplicito dopo aver parlato al telefono con Kerry (i due si vedranno giovedì a Ginevra): «Daremo agli Usa le nostre idee su come mettere in sicurezza le armi chimiche, ma non è accettabile alcun riferimento all’uso della forza ». Il segretario di Stato replica: «L’unica soluzione possibile è un pronunciamento chiaro dell’Onu ». La lunga marcia della pace è appena iniziata.


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Qualche giorno fa uno scoop del Newsweek ha rivelato che nel 2009, mentre da un lato chiedeva al premier israeliano di fare concessioni ai palestinesi, dall’altro Obama approvava la vendita di 55 bunker-buster bombs, le bombe penetranti capaci di distruggere bunker sotterranei protetti. La notizia ha riportato in primo piano la possibilità  di un prossimo attacco israeliano contro le centrali nucleari iraniane. Washington e Tel Aviv accusano la Repubblica islamica di voler produrre ordigni atomici.

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