Sanzioni più pesanti per l’omofobia

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ROMA — Non era mai successo: ieri pomeriggio l’asse laico di Montecitorio ha sconfitto quello cattolico. Si votava la legge sull’omofobia e il testo aveva già raggiunto l’aula della Camera con un sì piuttosto ragguardevole, ovvero l’estensione della legge Mancino al reato di omofobia. Una vittoria che nel Comitato dei nove (un comitato ristretto all’interno della Commissione giustizia) non soltanto aveva spaccato la maggioranza di governo creando un asse Pd-M5S-Sel, ma aveva diviso al suo interno anche lo stesso Pdl.
Non era mai successo: in aula al momento di votare le pregiudiziali di costituzionalità del testo sull’omofobia ci ha pensato la Lega a raccogliere in tutta fretta le firme per chiedere alla presidente Laura Boldrini la votazione a scrutinio segreto. Nel 2009 e nel 2011 aveva funzionato. Con il voto segreto la legge sull’omofobia era stata dichiarata incostituzionale e il testo era stato di fatto affossato.
Ieri pomeriggio invece nel voto alle pregiudiziali di costituzionalità la maggioranza dei no nel segreto dell’urna è stata schiacciante, forse imbarazzante: 405 contro 100. Oggi si dovrebbe arrivare al voto definitivo dell’aula di Montecitorio.
E ci si dovrebbe arrivare, al voto, con una bilancia decisamente pendente verso una maggioranza laica e soltanto parzialmente silenziosa. Ieri infatti nel Comitato dei nove si sono formate maggioranze variabili che, tuttavia, hanno portato alla fine a una votazione palese con la soddisfazione del Pd Ivan Scalfarotto, relatore del testo: l’estensione della legge Mancino all’omofobia, che diventa così un nuovo reato per il codice penale. Per quel che riguarda l’aggravante prevista dalla Mancino (fino alla metà della pena prevista) non è ancora invece stato trovato l’accordo.
In realtà nel pomeriggio il Comitato dei nove era riuscito in un’impresa ben di più complessa: aveva approvato una norma che introduceva nel nostro ordinamento le definizioni di bisessuale e transgender. Già: tutto grazie a un emendamento di Francesca Businarolo, del Movimento 5 stelle. Il deputato Businarolo aveva esteso al Parlamento italiano una risoluzione del Parlamento europeo (del 18 gennaio 2006) dove, parlando di omofobia, il reato veniva definito «come una condotta basata sul pregiudizio e sull’avversione nei confronti delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali». In prima battuta il Comitato lo aveva approvato, benedicendo una rivoluzione lessicale.
Per questo, subito dopo l’approvazione il deputato della Lega Nicola Molteni aveva lasciato la commissione Giustizia, sbattendo la porta: «Siamo a un mostro giuridico, il Pd ha votato insieme al Movimento 5 stelle un emendamento che introduce in una norma penale il concetto di transgender». Non sapeva, Molteni, che nel frattempo la presidente della commissione di Montecitorio Donatella Ferranti era stata costretta a rimettere in votazione l’emendamento. Il deputato Enrico Costa del Pdl era saltato sulla sedia sentendo la parola «transgender» e aveva minacciato fuoco e fiamme in aula. A quel punto il Pd ha deciso di votare contro l’emendamento, di fatto affossandolo.
Inutilmente subito dopo Francesca Businarolo aveva provato a protestare platealmente in aula: su quella parte della legge il velo era stato ormai deposto, senza più speranza.


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