Manager italiani e rilancio della rete così Alierta ha convinto Letta
MILANO — Né l’uno né l’altro hanno fretta di farlo sapere, benché ciò che è successo nei giorni scorsi sia semplicemente ovvio. Enrico Letta e Cesar Alierta si sono parlati e devono essersi capiti piuttosto bene. Senza veri punti d’attrito. Il presidente di Telefonica non è andato in visita ufficiale dal premier — sarebbe stato prematuro — ma non ha trascurato di chiarire con lui le intenzioni del gruppo spagnolo su Telecom Italia. E Letta gli ha risposto ponendo alcune condizioni, peraltro accettate.
Sono episodi del genere a dare il senso di come in questa saga telefonica esista un doppio tracciato. Quello visibile è segnato dal furore di molti, non solo nella politica, per l’addio all’“italianità” di un’azienda un tempo pubblica. Poi però c’è anche una seconda rotta. È un filone sotto traccia, lungo il quale italiani e spagnoli hanno già concordato le garanzie in base alle quali Telefonica controllerà Telecom e si impegnerà a farla crescere. Anche in Italia (rete inclusa), non solo in America Latina.
Alierta su questo è stato chiaro: il gruppo di Madrid non sale nell’azionariato di Telco, la holding che esercita il controllo di Telecom con una quota di appena il 22,4%, solo perché è interessato alle attività degli italiani in Brasile o in Argentina. Gli spagnoli si sono convinti che anche la parte del gruppo che insiste sull’Italia offra opportunità. Benché in recessione, questa resta l’ottava economia del pianeta. C’è poi però anche un secondo motivo per la scelta di Madrid, più pragmatico: l’azienda ha già sbagliato così tanti piani che può solo migliorare, purché abbia una guida che conosce il settore telecomunicazioni e sappia muoversi. Non sarà facile, e non solo perché il fatturato in Italia è inchiodato a 30 miliardi dal 2008, i debiti sono a 40 miliardi, mentre i margini netti sono in rosso profondo da due anni. Telefonica ha di fronte a sé momenti difficili anche con i regolatori in Brasile e in Argentina, dove si crea una posizione fin troppo dominante della nuova entità italo-spagnola. Non è neanche escluso che Buenos Aires prima o poi nazionalizzazi. Eppure la strategia ormai è decisa: un gruppo multinazionale fortissimo in Spagna, Italia e Brasile, tre delle prime dieci economie del mondo, e con il 30% del mercato del mobile in Germania tramite O2, già controllata dagli spagnoli.
Di qui le scelte già discusse da Alierta con il governo e con i soci in Telco, Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali. Poiché punta (anche) sull’Italia, Telefonica intende mantenere il controllo dell’attivo più prezioso di Telecom: l’infrastruttura di rete. È da lì che vicente gran parte dei ricavi e lo sviluppo futuro. Dunque niente cessione a Cassa depositi e prestiti o a chiunque altro. In contropartita, Telefonica fornirà tutte le garanzie che il governo richieda
sulla sicurezza, l’efficienza del sistema e forse anche gli investimenti. Del resto si tratta solo di reciprocità, da quando Enel controlla il gruppo elettrico iberico Endesa. C’è poi un impegno in più che Telefonica assume per rassicurare la politica, perché intende puntare su un capo azienda italiano. Sotto osservazione c’è Marco Patuano, 49 anni, oggi amministratore delegato di Telecom benché sottoposto al presidente esecutivo Franco Bernabè. Ma nelle scorse settimane gli spagnoli hanno sentito almeno un altro manager: Mauro Sacchetto, 54 anni, studi a Stanford e esperienze da top manager a Datalogic e a Pirelli Cavi. Anche questi sondaggi preliminari fanno capire che per gli spagnoli non è stata una scelta facile, maturata in agosto. In precedenza Alierta fin lì era rimasto un socio passivo, magari in attesa che il gruppo si deprezzasse nella cattiva gestione della filiera tutta italiana. Di certo in estate gli altri soci di Telco avevano sondato altri potenziali acquirenti. Gli americani di At&t hanno declinato: in Europa, hanno fatto sapere, sono interessati solo ad acquizioni in Germania e Gran Bretagna. Il tycoon di Hong Kong Li Ka-shing ha chiesto una valutazione impossibile per la 3 Italia, che controlla. E i cinesi di China Mobile non hanno osato un’avventura all’estero così impegnativa. Lo sarà anche per gli spagnoli, anche se non li preoccupano le minacce di un veto italiano usando il “golden power” del governo o un obbligo di lanciare un’offerta d’acquisto. Non è previsto un veto del governo, mentre eventuali nuove norme non dovrebbero essere tali da forzarli a lanciare un’Opa: è certo una beffa per gli azionisti di minoranza, ma
lo stesso tipo di beffa a cui sono stati sottoposti in passato dalla investitori italiani come la Olimpia di Marco Tronchetti Provera e da Telco stessa, senza troppe proteste. Il vero rischio è altrove: nella politica, perché sarà difficile per Telefonica attrarre manager di livello internazionale su Telecom Italia e poi gestirla al meglio se le proteste continueranno. Ma la situazione è così deteriorata nell’azienda che un investiore milanese esperto come Giovanni Tamburi spera che le acque si calmino: «È un’operazione perfetta — dice — buona per il mercato, l’efficienza e la pulizia da incrostazioni parapubbliche».
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