Benvenuti al vero G20 del Pontefice unico leader in un mondo di potenti

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WASHINGTON. CI VOLEVA un Papa venuto dalle Americhe per dare una lezione all’America.
Era necessario il figlio di culture e di continenti diversi, non più ancorato alla stanca Europa, un uomo con il senso innato e istintivo del rimpicciolimento di un mondo senza più tempeste locali ed egemonie indiscusse.
CI VOLEVA uno così per fare quello che i potenti della Terra, nei loro sempre più irrilevanti festival delle vanità come i G20, non riescono a fare: trovare una voce che attraversi gli oceani d’acqua e di rancori. E che meriti di essere ascoltata.
Era stato accolto con molta indifferenza, e con un retrogusto di ironia, l’appello di Francesco alla giornata di digiuno, a quel piccolo gesto di autosacrificio e di autonegazione che è in tutte le religioni, da quelle che noi chiamiamo «primitive» a quelle teologicamente più complesse, una forma intensa e fisica di preghiera e devozione. I grandi media americani, e la cacofonia della Rete, avevano quasi ignorato questa iniziativa, involontariamente riaccreditando la famigerata battuta di Stalin sulle «divisioni del Papa».
E se forse non basterà quella folla multireligiosa e diversa che ieri ha gremito piazza San Pietro come si vedeva soltanto per i lutti e le feste solenni, a deviare la nuova “marcia della follia” verso un’operazione militare dalle premesse incerte e dagli esiti oscuri, qualche cosa è accaduto ieri che non sarà dimenticato né facile da ignorare. Nel mondo di questo 2013, sempre più deluso da un uomo al quale erano stati ingiustamente attribuite facoltà taumaturgiche e premi Nobel ancor prima che governasse, Barack Obama, e certamente non disposto ad affidarsi a personaggi sinistri come Vladimir Putin, la voce del Vescovo di Roma ha riempito un silenzio. Ha gridato nel deserto, ma il deserto si è rivelato brulicante di persone disposto ad ascoltarlo.
Quello di ieri è stato un esperimento. È stato un test destinato forse più a verificare la correttezza della intuizione di Bergoglio che a cambiare istantaneamente la storia. Il Papa, con un’iniziativa improvvisata, decisa con quella sua tecnica impulsiva di muoversi e parlare prima che la ragnatela degli opportunismi e delle prudenze curiali lo imprigioni, ha lanciato una sfida avendo visto, capito, sentito quanto profondamente e trasversalmente rifiutata nel mondo fosse l’ipotesi di una nuova strage per impedire una strage. La preoccupazione di «fare il gioco» di questo o di quello, invitando popoli anche di osservanza diversa a unirsi a questo esorcismo del demone guerriero, non lo ha toccato. Il senso che un errore sia un errore, chiunque lo commetta e chiunque ne tragga vantaggio, lo ha ispirato.
Anche Giovanni Paolo II, nei giorni della scellerata invasione dell’Iraq, come prima di lui Giovanni XXIII nella vigilia della possibile guerra nucleare attorno ai missili sovietici a Cuba, avevano alzato le loro voci. Il Papa polacco, che pure era stato vicinissimo agli Stati Uniti e ai loro interessi collaborando al tracollo del Socialismo Reale, senza ottenere nulla. Il Papa bergamasco forse compiendo il miracolo indiretto e indimostrabile di dissuadere Kruscev dallo spingere il proprio bluff fino alle estreme conseguenze contro il blocco navale di Kennedy attorno all’isola.
Ma soltanto Papa Francesco ha deliberatamente scavalcato il recinto del proprio gregge mistico, della propria pur enorme “parrocchia”, si è rivolto a chi crede di invocare un Dio diverso, ha ottenuto che dallo “scontro di civiltà”, come piaceva definirlo ai fanatici di ieri che oggi si ritrovano con molti scontri e nessuna civiltà esportata, nascesse un’ipotesi di civiltà comune senza scontro. Ha avvertito il vuoto che il collasso di un ordine mondiale riportato al tragico palliativo della forza aveva creato e ci ha fatto irruzione. Per cercare di riempirlo con le mani vuote.
C’è un elemento di divina follia, anche di estrema ambizione in questo intervento di un Pontefice cattolico romano ancora all’alba del proprio regno. Ma quello che rende credibile, se non ancora efficace, l’azione del Papa è la convinzione che non agisca certamente per vanità personale e neppure necessariamente per fare propaganda fidei alla propria confessione. Si capisce, o si spera di capire, che lo fa perché considera giusto farlo e che il digiuno e la preghiera di mussulmani ed ebrei, di cattolici e di protestanti, di animisti e di buddhisti arrivano, se arrivano, alle orecchie dello stesso Dio, se c’è.
Proprio il rifiuto sempre più avvertito del cosiddetto «potere temporale» della Chiesa, che ormai si era ridotto a orpelli, congiure di corte, carrierismi, intrighi in affari di stati laici, se non a operazioni finanziarie delittuose, non toglie, ma irrobustisce il potere spirituale. Dà alle iniziative di questo Papa quello che ai pezzi grossi del mondo manca ogni giorno di più: la credibilità. Se non rischiasse anche lui di restare impigliato nella vanagloriosa inutilità, Papa Bergoglio dovrebbe essere invitato al prossimo G20. Il convitato con le mani vuote, ma la coscienza pulita.


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