Dietro la sfida cresce il malumore per le larghe intese

by Sergio Segio | 22 Settembre 2013 6:37

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ROMA — Nell’assemblea dell’assurdo può capitare anche questo: che i due principali contendenti si scontrino senza farlo direttamente. Uno dei duellanti, addirittura, non è nemmeno presente. L’altro non fa neanche parte del “parlamentino” del Pd, benché prenda la parola lì dentro.
Enrico Letta e Matteo Renzi si fanno la guerra a distanza, per interposta persona, anzi, per interposte persone. Ieri la battaglia l’ha vinta il sindaco di Firenze, anche se non giocava in casa, perché l’assemblea è composta dai quadri e dall’apparato del partito. Però aveva dalla sua due alleati d’eccezione. Il primo è Gianni Cuperlo, che proprio come lui, vuole pensionare (e, in alcuni casi prepensionare) i protagonisti del “patto di sindacato” che sta reggendo ancora il Partito democratico. E infatti i due candidati, pur parlando linguaggi diversi e immaginando Pd opposti, hanno offerto l’immagine di quello che potrebbe essere il partito del futuro: composto da una classe dirigente giovane e che, comunque, nulla ha a che fare con chi ha partecipato alla precedente gestione. «E’ nato un nuovo partito, chi ancora fa resistenza ne prenda atto», dice il segretario della Campania Enzo Amendola, rivolto alla vecchia guardia.
Il secondo alleato di Renzi nel duello con Letta è il malumore del Pd di fronte a un governo che elettori e iscritti sopportano con sempre maggior fatica. Non è un caso che Renzi, che in una platea come quella perde la gara dell’applausometro con Cuperlo, abbia ricevuto il battimani più convinto e più forte quando ha sparato contro le larghe intese: «Ho l’ambizione di voler governare da solo non a rimorchio di qualcun altro». Del resto l’aria che tira dalle parti del Pd la si era notata anche il giorno prima. Quando Guglielmo Epifani aveva detto: «Che sia tra un anno o meno vogliamo tornare alle urne con una riforma elettorale».
Il “timing” non è esattamente quello voluto dai lettiani. E non potrebbe esserlo. Epifani si rende perfettamente conto che il Pd è a disagio e spiega ai suoi: «Dobbiamo avere il coraggio di sfidare Berlusconi, di dirgli che o accetta le nostre proposte o si va a casa». In realtà un po’ tutti nel partito la pensano così. Per questa ragione Renzi non ha difficoltà in quel consesso a vincere la sfida con Letta sul fronte del governo.
Ma tra i due è guerra anche per le regole e per il Congresso. I lettiani, che si alleano con i bersaniani, non lo vorrebbero l’8 dicembre. Lo lascia intendere un fedelissimo del premier, Marco Meloni, che se la prende con Renzi per la sua insistenza: «Lui vuole tenersi aperta una finestra elettorale». Cosa che, ovviamente, il premier non vuole. Perché quella finestra coinciderebbe con il suo addio a palazzo Chigi e con l’investitura del sindaco come candidato a palazzo Chigi. I lettiani poi hanno lottato fino all’ultimo per la modifica dello Statuto, con lo scopo di ottenere che il segretario non sia automaticamente il candidato del partito alla presidenza del Consiglio. Cosa che, di fatto, escluderebbe Letta da qualsiasi possibile futura corsa.
Ma anche questa volta hanno subito una sconfitta: lo Statuto non si tocca. Per loro quello era un punto irrinunciabile. Tanto che l’ambasciatore del premier nella Commissione che doveva decidere le regole, Gianni Dal Moro, si è opposto a qualsiasi mediazione. Alla fine persino il bersaniano Davide Zoggia aveva ceduto, ma Dal Moro si è imposto facendo mancare l’unanimità. Ragion per cui l’assemblea è finita malamente senza un voto sullo Statuto, rimandando all’esterno l’immagine di un partito in preda al caos. Un altro punto per Renzi, che ottiene la data del Congresso e il mantenimento di uno Statuto che salvaguarda il partito a vocazione maggioritaria di veltroniana memoria perché fa coincidere le figure del segretario e del candidato premier. «Che figuraccia che hanno fatto», sorride il sindaco, mentre parla con i suoi. E per spiegare il motivo di quel largo sorriso basta ascoltare quello che dice Paolo Gentiloni: «Neanche se lo facevano apposta riuscivano a organizzare a Matteo uno spot elettorale come questo: la confusione che hanno creato testimonia che per salvare il Pd c’è bisogno di qualcuno che, come Renzi, vuole rivoluzionare questo partito».
Maria Teresa Meli

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