I dissidenti preparano la rete E parte la conta dei possibili ribelli

by Sergio Segio | 30 Settembre 2013 5:52

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È stata la più lunga e angosciosa domenica che si ricordi nei ranghi del Pdl (o di Forza Italia, se volete). La mattina fila via nei silenzi di quasi tutti i parlamentari. I telefonini cellulari spenti e riaccesi solo per spedire sms di puro terrore. «Quagliariello ce lo aspettavamo, la Lorenzin no. Non provi a chiamarmi, tanto non posso risponderle», scrive un povero disgraziato a mezzogiorno. Da Napoli arrivano le immagini di una torta di compleanno dedicata a Berlusconi, intorno alla quale sorridono inspiegabilmente allegri e spensierati la Carfagna e Nitto Palma (anche se a Nitto Palma, istintivamente, il sorriso ad un certo punto si tramuta in un brutto ghigno). Un’ora dopo, un lancio dell’agenzia Italpress annuncia che un terzo ministro del partito, Maurizio Lupi, prende le distanze dai «cattivi consiglieri» del Cavaliere.
Riepilogando: Cicchitto gonfio d’ira già sabato sera. Poi le polemiche dimissioni con cui Quagliariello spiega di non avere alcuna intenzione di restare in un partito che assomiglia a Lotta Continua. Quindi la Lorenzin, giovane e brava, una carriera seguendo Berlusconi, dal tredicesimo municipio di Roma al Campidoglio, ma pure lei via, fuori dal partito che l’ha cresciuta politicamente fino a farla diventare ministro della Salute. Lupi, il cattolico Lupi, in qualche modo, che chiude il cerchio.
Qualcuno comincia a rispondere al telefonino.
«Premesso che Letta ha commesso alcune sciocchezze, accelerando così la crisi…» (questa è la voce del senatore Andrea Augello, 52 anni, da ragazzo già nel Msi e poi sindacalista, a Fiuggi per fondare An, la politica intesa come una cosa seria).
Premesso questo?
«Sono d’accordo con Cicchitto, con Lupi… non è possibile gestire una crisi di governo così, mettendosi lì, a cena, in tre, quattro…».
Continui.
«C’erano passaggi obbligati: avrebbero dovuto convocare i capigruppo, chiamare Alfano… Non si precipita in una scena drammatica solo perché due si alzano e dicono: facciamo dimettere tutti i ministri. Non è possibile. In queste ore abbiamo avuto la prova di quanti limiti abbia questo modello di partito».
Quindi? Che può succedere? Lo smottamento può…
«Smottamento? Aspettiamo che si riuniscano i gruppi. Non diamo per scontato alcun finale».
Aspettiamo, ma intanto nel partito, fino a poche ore fa muto, incerto, impaurito, cominciano a rimbombare i primi commenti ufficiali, e sono ruvidi, taglienti, non scontati. Sentite il senatore Francesco Colucci: «La storia di Berlusconi è la storia dell’Italia moderata. Alfano e i ministri ne prendano in mano la bandiera». E sentite anche Maurizio Sacconi, di vecchia osservanza socialista, abituato alle liturgie dei partiti classici, e quindi sorpreso, amareggiato: «Moltissimi militanti non condividono la deriva estremista del Pdl scatenata dai cattivi consiglieri di Berlusconi».
Gira voce che Alberto Giorgetti si sia dimesso da sottosegretario chiedendo però minacciosamente un immediato chiarimento ad Alfano. L’altro sottosegretario, il catanese Giuseppe Castiglione, tace, avendo già parlato esplicitamente in un «fuorionda» catturato dalla trasmissione «Piazzapulita».
«È chiaro che qui le elezioni non le vuole nessuno. C’è un gruppo di senatori a me più vicini, tra i quali Gibbino, Torrisi e Pagano, pronti a non seguire Berlusconi se si apre la crisi… nessuno vuole tornare a casa».
Chi vuole restare in Parlamento, chi parla del proprio mutuo. Come Antonio Razzi, voltagabbana di straordinario talento, che torna a riparlarne — non casualmente — proprio in queste ore, e non si capisce se sia una minaccia: nel settembre del 2010 denunciò la compravendita dei deputati da parte del Pdl, dichiarando che a lui, all’epoca nell’Italia dei Valori, era stato proposta l’estinzione di tutte le rate; tre mesi dopo lasciò Di Pietro per poter votare contro la sfiducia al Cavaliere; adesso siede a Palazzo Madama nei banchi del Pdl ma sembra che sul groppone gli siano però rimaste ancora parecchie rate. «Ognuno — chiude il discorso — ha qualche guaio da risolvere».
Va bene: forse è meglio avvertire Verdini, ditegli che cominci a contare i suoi, qualcuno ha cominciato a mettersi in fila per andarsene. Dicono che stia contando anche Quagliariello. E Lupi avrebbe già una lista di parlamentari d’area ciellinformigoniana (da settimane, noto, un certo disagio di Eugenia Roccella).
«Si fidi. Certo che si stanno contando» (Giorgio Stracquadanio, ex parlamentare Pdl, ex falco berlusconiano, ma sempre in Transatlantico, osservatore attento, furbo, spregiudicato).
Lei che ne sa?
«Ragioni. E osservi la sequenza delle dimissioni dei ministri: prima Quagliariello, poi la Lorenzin, infine Lupi. È chiaro che si sono messi d’accordo. E da tempo».
Sia più chiaro.
«Tutti avevano capito che il Cavaliere si muoveva spinto dal panico di poter finire in galera, e consigliato male da chi sappiamo: così è stata preparata una rete di sicurezza per questo governo Letta, che poi verrà chiamato Letta bis. Cesa, del resto, da giorni ha annunciato che il gruppo dell’Udc chiuderà per dare vita ai “Popolari per l’Europa”, il contenitore su misura per i pezzi che arriveranno, appunto, dal Pdl».
Quanti ne arriveranno?
«Stima complicata. Ma direi che una ventina, al Senato, sono già in lista».
Insomma i discorsi sono questi, e anche, più o meno, i numeri (pure il senatore Paolo Naccarato di Gal — gruppo di berluscones voluto esplicitamente dal Cavaliere — ripete senza indugi: «Il disagio attanaglia, da mesi, decine di parlamentari del Pdl. A questo punto, sono certo che molti, ormai soli con le loro coscienze innanzi al Paese, preferiranno scegliere un’altra strada»).
Inevitabile fare uno squillo al leggendario Domenico Scilipoti.
«Ah! È lei… grazie di avermi chiamato, grazie…».
Senatore Scilipoti, lei che fa? Resta con Berlusconi oppure…
«Guardi, lo dico con il cuore: ci deve illuminare a tutti lo Spirito Santo…».
Fabrizio Roncone

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