Il Cavaliere brucia i ponti

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Ancora una volta, Silvio Berlusconi ha colto alla sprovvista i suoi prima di tutti gli altri. A metà pomeriggio, il capo dei deputati Brunetta, dichiarava serafico: «Sono un ottimista, una soluzione si rtroverà». In quel momento era già pronto il comunicato di fuoco con cui il capo «suggeriva» ai ministri di alzare i tacchi per non rendersi «complici di un’ulteriore odiosa vessazione».
Non ne sapevano niente i capigruppo e neppure i diretti interessati. La telefonata con cui il portaordini Angelino Alfano li ha informati delle loro imminenti dimissioni se la aspettavano tanto poco che tre su quattro (Lupi, Quagliariello e Lorenzin) hanno accennato unconato di resistenza. Il primo ha puntato i piedi il più possibile, il secondo, ancor meno convinto, promette di dire oggi «quel che pensa». Persino la Di Girolamo ha fatto passare qualche minuto prima dell’immancabile «Obbedisco». Nel Pdl, però, il solo ad accennare una protesta aperta è Fabrizio Cicchitto: «Una decisione così rilevante avrebbe dovuto essere presa dall’Ufficio di presidenza del Pdl e dai gruppi parlamentari». Come avrà fatto a passare anni nel partito di Silvio senza accorgersi di chi e prendeva le decisioni lì resta tuttavia misterioso.
I riflessi della scarsa convinzione che anima i dimissionari campeggiano in quel ridicolo passaggio del loro comunicato nel quale motivano il gesto estremo con l’obiettivo di «consentire un più schietto confronto». Un gesto distensivo, o giù di lì. Ancora ieri sera non mancava chi, passeggiando tra le rovine, dissertava sull’ultimissima chance, rappresentata da un congelamento in extremis dello scatto Iva. Come se fosse quello il problema. Ovvio, l’aumento ha offerto a Berlusconi un’occasione insperata per fingere di rompere sul suo cavallo di battaglia preferito, le tasse. Ma non è certo su quel fronte che si era sviluppato tra la notte e la mattina l’ultimo disperato tentativo di tirare il governo fuori dal vicolo cieco.
La manovra riguardava naturalmente la giustizia, faceva perno sul discorso di Napolitano a Poggioreale e probabilmente era destinata comunque a fallire. Per ore, tuttavia, le colombe avevano spiegato a Berlusconi che se Letta, in Parlamento, avesse inserito nella sua agenda il capitolo giustizia si sarebbe potuto poi far leva sul messaggio a favore dell’amnistia di Napolitano per delineare una possibile via d’uscita dal cul-de-sac giudiziario dal quale il Cavaliere non può più uscire.
Dagli spalti del governo e del Pd, però, non arrivava nessun segnale pur minimamente confortante. A mettere tra le priorità della sua agenda la responsabilità civile dei magistrati Enrico Letta non ci pensava affatto. Il Pd aveva già deciso che, nel dibattito sulla fiducia, avrebbe chiarito senza margini di dubbio che, fiducia o non fiducia, venerdì in Giunta avrebbe votato per la decadenza del senatore Berlusconi. Restava dunque solo il messaggio alle camere promesso da Napolitano, ma all’ora di pranzo, ad Arcore, Ghedini, Verdini e Marina Berlusconi hanno avuto gioco facile nel convincere il decadente che si sarebbe trattato di una scatola vuota. Quando, al momento del dessert, è arrivata la Santanchè, più Erinni che mai, ha trovato i giochi già fatti senza nemmeno doverci mettere qualcosa di suo per spingere il condottiero da dare battaglia. Il capo aveva le conclusioni già pronte: «Bisogna andare all’opposizione comunque, anche se faranno un governo tecnico. E poi che arrestino pure il capo dell’opposizione!»
Del resto, anche se agli intimi il flagellato di Arcore ha confessato di aver passato l’ennesima notte più difficile della sua vita, la sua scelta l’aveva già fatta subito dopo il discorso di Enrico Letta a New York, considerato un tradimento imperdonabile dal momento che si schierava senza se e senza ma con l’arcinemico Napolitano, invece di restare neutrale. Le ultime resistenze erano dovute tutte e solo alle insistenze martellanti delle eterne colombe, Confalonieri e Letta (Gianni).
I giochi però non sono ancora finiti. Letta (Enrico) non ha alcuna intenzione di permettere a Berlusconi di usare l’Iva come alibi. «Non cerchi di rivoltare la frittata», ha dichiarato a caldo. Poi ha rincarato: «Berlusconi cerca di giustificare un gesto folle e irresponsabile, finalizzato esclusivamente a coprire le sue vicende personali». Solo a questo servirà il dibattito parlamentare di martedì: a cercare di addossarsi reciprocamente le colpe del disastro a uso esclusivo degli elettori vicinissimi all’essere richiamati alle urne. Ci sarà molto di dramamtico, e moltissimo di grottesco.
Poi si passerà ai tentativi di dar vita a un nuovo governo, sia pur solo per qualche mese. Ma non con Letta, che ha già dato. Meglio un tecnico, come Fabrizio Saccomanni.


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