India, il sogno spezzato

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NUOVA DELHI. Dieci anni fa l’India sembrava pronta ad assumere in Asia il ruolo di potenza economica e strategica dominante, accanto alla Cina. La crescita economica era in impennata, le forze armate si rafforzavano e i leader indiani calcavano sicuri la scena mondiale. Ma un’estate difficile ha intaccato la fiducia dell’India nella propria ascesa e sempre più voci critiche mettono in discussione i tempi auspicati, ipotizzando anni e forse decenni di ritardo.
«Nel paese cresce lo sconforto, soprattutto tra i giovani», dice Ramachandra Guha, celebre storico indiano. Tre avvenimenti recenti hanno concretizzato queste nuove ansie. A metà agosto uno dei sottomarini più avanzati della flotta indiana, il Sindhurakshak, è esploso e affondato all’ormeggio a Mumbai. Diciotto dei ventuno marinai di guardia sono morti. Tre giorni dopo un generale al vertice delle forze armate ha annunciato che 28 persone erano state uccise nelle ultime settimane sulla Linea di Controllo in Kashmir nel corso dello scontro più duro mai avvenuto tra India e Pakistan dal cessate il fuoco del 2003.
Lo stesso giorno il Sensex, l’indice di Borsa indiano, è crollato di quasi il 4 per cento mentre il valore della rupia continuava a scendere toccando il record negativo di poco meno di 62 rupie per dollaro (la moneta indiana ha perso il 20% da maggio). Pur non essendo correlati, questi eventi danno l’immagine di un paese che sta rapidamente perdendo la sua baldanza. Le condizioni economiche sono forse il motivo più grave di preoccupazione. La crescita è passata dall’8-9% di qualche anno fa al 4% di oggi. «Oggi l’India è il malato dell’Asia», commenta Said Rajiv Biswas, capo economista per l’area Asia-Pacifico dell’istituto di analisi e ricerca Ihs Global Insight, «il paese è in crisi». In parte i problemi sono di vecchia data: burocrazia soffocante, infrastrutture antiquate e l’apparente incapacità di approvare riforme necessarie e di prendere decisioni circa gli investimenti. Per anni gli investitori hanno sorvolato su questi problemi di fronte alla promessa di un mercato di 1,2 miliardi di consumatori. Il denaro è affluito a fiumi in India, consentendole di mascherare il deficit cronico delle partite correnti. Ma dopo più di un decennio di tentativi andati in gran parte a vuoto non solo di entrare nel mercato interno indiano, ma anche di utilizzare l’ampia base di forza lavoro locale per produrre manufatti da esportare nel resto dell’Asia, molte grandi imprese straniere iniziano a spazientirsi. E a fronte del loro scoraggiamento l’economia statunitense in ripresa ha spinto gli investitori a riportare negli Usa i fondi prima destinati alle economie di mercato emergenti.
Il governo indiano ha da poco limitato le restrizioni imposte agli investimenti stranieri diretti, attendendosi l’entusiastica reazione di tutta una serie di grandi catene commerciali come Wal-Mart ed altre, che invece si sono tenute alla larga, impensierite non solo dai costanti mutamenti nella politica del governo, ma anche dalla corruzione diffusa e endemica nella società indiana. Il governo ha fatto seguire nelle ultime settimane una serie di dichiarazioni politiche nella speranza di recuperare la situazione. Ha annunciato tra l’altro un aumento dei dazi di importazione sull’oro e l’argento e iniziative per difendere la valuta nazionale senza procedere ad un aumento eccessivo dei tassi di interesse.
Mercoledì 14 agosto sono state annunciate misure per limitare l’importo dei fondi che individui e imprese locali possono investire all’estero senza previa autorizzazione. Si tratta di un passo sorprendente in un paese in cui sempre più imprese hanno ambizioni e operatività a livello globale. I mercati azionari indiani erano chiusi il giorno seguente per la festa dell’indipendenza nazionale, ma all’apertura il venerdì le azioni sono crollate. Secondo le previsioni di molti analisti, i mercati continueranno a registrare una flessione. «Penso che la situazione peggiorerà ulteriormente prima di migliorare », dice Sonal Varma, economista indiano della Nomura Securities di Mumbai. «Il governo è tra l’incudine e il martello».
Il problema dell’India, secondo gli analisti, è che il Paese dispone di un’industria manifatturiera e mineraria limitata e poco produttiva, che normalmente beneficerebbe di un indebolimento della valuta. Ma al contempo l’India deve acquistare, in massima parte in dollari, il petrolio, gran parte del fabbisogno di carbone e di altri beni importanti, come i computer, che negli ultimi due anni sono aumentati di circa il 40 per cento. Tutto questo contribuisce ad alimentare l’inflazione che in luglio è balzata al 5,79 per cento dal 4,86 per cento di giugno, un aumento ben più consistente di quanto prevedessero gli analisti.
La Banca centrale indiana ha recentemente reagito all’indebolimento della rupia aumentando i tassi di interesse, ma queste mosse hanno già avuto un impatto negativo su una grossa fetta dell’imprenditoria indiana. I tassi di crescita sono già scesi al 5 per cento nell’ultimo trimestre e ora l’India ha molte più difficoltà ad affrontare il cronico deficit delle partite correnti. Gli analisti temono che l’inflazione aumentata, la crescita rallentata, la valuta in calo e lo svanire della fiducia degli investitori possano risultare in una spirale perversa che sarà difficile arginare. «Esiste il rischio di una spirale negativa », dice Biswas, l’economista della IHS Global. «Sarà molto arduo interromperla ». L’esplosione del sottomarino è stata l’ennesima dimostrazione delle ampie problematiche strategiche che le forze armate indiane si trovano ad affrontare e del divario formatosi rispetto alla Cina. L’India si appoggia ancora alla Russia per più del 60 per cento del fabbisogno della difesa e gli armamenti fondamentali in dotazione all’esercito, all’aviazione e alla marina sono di fabbricazione russa, spesso vecchi di decenni e di qualità sempre inferiore. Il Sindhurakshak è uno dei sottomarini di fabbricazione russa Classe Kilo che l’India ha in dotazione come componente della prima linea di difesa marittima, ma solo sei dei sottomarini indiani sono operativi in qualsiasi momento, molti meno del necessario a proteggere la vasta area costiera della nazione. A dire il vero l’India ha meno di 100 navi, contro le 260 cinesi. L’India è il maggior acquirente di armi del mondo ma con l’economia in difficoltà e le riserve di valuta estera sempre più preziose, sarà sempre più difficile sostenere quel livello di spesa militare.
I tentativi di fabbricare armi in proprio si sono rivelati in ampia parte disastrosi e gli acquisti dall’estero sono stati contrassegnati da sempre più episodi di corruzione, incluso un accordo recente per acquistare elicotteri dall’Italia. Incapace di fabbricare e di comprare armamenti, l’India, a detta degli analisti, sta sguarnendo pericolosamente la sua difesa.
Intanto l’aspra rivalità con il Pakistan prosegue. Molti analisti sostengono che l’India difficilmente assumerà un ruolo predominante sul palcoscenico mondiale se non giungerà ad una qualche soluzione delle dispute con il Pakistan sul Kashmir e altri temi, che si trascinano da decenni.
© 2013 New York Times News Service Traduzione di Emilia Benghi


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