La seconda rivoluzione del Papa. Bagnasco pronto a dimettersi

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Il vertice della Conferenza episcopale italiana (Cei) avrebbe rimesso il proprio mandato nelle mani di papa Francesco. Il cardinale Angelo Bagnasco e i tre vicepresidenti sarebbero pronti alle dimissioni. È il primo effetto della «fase due» della rivoluzione di Francesco, che finora si è concentrata sulla Curia, e la conferma che la crisi della Chiesa cattolica non riguarda soltanto un ambito e una nomenclatura, ma l’intero «partito italiano» ecclesiastico. L’attenzione e gli appelli insistiti del Pontefice, sullo sfondo della riforma e degli scandali dello Ior, avevano velato questo versante.

I riflettori avevano seguito soprattutto la sostituzione al rallentatore del Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, con monsignor Pietro Parolin, e le implicazioni di questo cambio al vertice.
Ma negli ultimi giorni ha cominciato a prendere corpo anche il problema della Conferenza episcopale italiana. Agli occhi del Conclave che ha eletto il 13 marzo scorso Jorge Mario Bergoglio, la crisi che ha portato alle dimissioni di Benedetto XVI è nata da conflitti «romani» nei quali le responsabilità si sono mescolate e confuse. La conseguenza sarà quella di riscrivere la geografia e le coordinate del potere ecclesiastico in Italia. Per gli episcopati mondiali, il ruolo controverso di Bertone non ha evitato di mettere in discussione anche il vertice della Cei, con il quale il «primo ministro» si era scontrato a lungo. Il loro sordo conflitto ha finito per appannare l’intero «partito italiano», approdato al Conclave tanto numeroso quanto diviso e guardato con ostilità. Francesco ha ribadito che i rapporti con la politica italiana spettano alla Cei, chiudendo una lunga e logorante disputa con la Segreteria di Stato. Ma gli ultimi giorni avrebbero confermato anche la volontà del Papa di riformare in profondità la Conferenza guidata da Bagnasco.
Nel documento approvato il 25 settembre non si trova traccia della possibilità di un passo indietro del vertice della Cei. L’unico riferimento, assai vago, è quello alla «piena e cordiale disponibilità» a fare proprie le indicazioni date da Bergoglio in alcuni colloqui avuti con Bagnasco: alcuni noti, altri rimasti segreti come quello del 21 settembre scorso. Sono state udienze non rituali, nelle quali, spiegano in Vaticano, l’agenda del capo dei vescovi italiani si è dovuta adattare a quella del Pontefice. Francesco ha fatto capire chiaramente che ha captato uno scontento diffuso; e che spetta agli stessi vescovi dire se qualcosa non va nel modo di lavorare dei vertici della Cei. Nel Consiglio finito il 25 settembre ci sarebbe stata una discussione sull’opportunità o meno di fare un riferimento esplicito all’offerta di dimissioni: sebbene il pontefice non le abbia chieste né voglia provocarle. Anzi, a chi lo incontra Francesco assicura di non avere nessuna fretta: il suo unico obiettivo è che la Chiesa italiana cambi registro e cultura.
Significa fermare un’elefantiasi che ha reso l’episcopato burocratico e autoreferenziale, malato in alcuni casi di carrierismo e incline a ostentare un’immagine di potere in contraddizione con la frugalità di Casa Santa Marta, la residenza papale in Vaticano. Uno dei pochi aspetti sui quali Bergoglio si è espresso con parole di incoraggiamento sarebbe stato il «progetto culturale» della Cei. Per vescovi che non sono riusciti ancora a entrare in sintonia con un Papa sudamericano, non più europeo e tanto meno italiano, i segnali sono inequivoci. E hanno provocato per reazione un tentativo di assecondare con assoluto zelo la volontà papale, perfino forzandola. L’idea di distribuire un questionario nel quale i vescovi debbono esprimere le proprie idee sul modo di operare della Cei e su come va eletto il presidente, è spuntata all’ultimo Consiglio tenutosi dal 23 al 25 settembre, ed è sintomatica.
Risponde alla sollecitazione papale di dare maggiore peso alle conferenze regionali; di tornare a un potere collegiale, ridurre il verticismo e l’autore- ferenzialità; e di limitare progressivamente il numero delle diocesi che si sono gonfiate in modo anomalo. Insomma, anche la Chiesa italiana che fino a una ventina di anni fa era considerata un modello, dovrà rivedere totalmente le proprie coordinate perché è parte integrante della crisi. Non si può escludere che alla fine della consultazione cambi anche il modo in cui viene scelto il presidente: non più, cioè, nominato direttamente dal Papa, ma eletto dagli altri vescovi, come avviene negli altri episcopati. In questo caso, entro il 2014 quello che oggi è un gesto privato di Bagnasco, potrebbe diventare ufficiale. D’altronde, è una fase nella quale ognuno sta cercando di misurare i propri interlocutori e di trovare un ruolo. Cardinali legati a Bertone come Gianfranco Ravasi o Giuseppe Bertello, che era additato come candidato alla Segreteria di Stato, cercano un difficile equilibrio fra i referenti del passato e il nuovo pontificato. Qualcuno, come il segretario della Cei, Mariano Crociata, resiste alle indicazioni di Francesco e dice no alla proposta di diventare cappellano militare, nel silenzio di Bagnasco.
Ancora, sotto voce ci sono cardinali che criticano Francesco per una presunta difficoltà a capire la complessità dell’Italia; e per la tendenza a favorire il protagonismo di alcuni gesuiti e a decidere le nomine senza consultarsi con nessuno. Ma sono solo effetti collaterali di una transizione inesorabile, programmata da tempo e che trova molti degli «italiani» spiazzati e tenuti all’oscuro di scelte strategiche maturate da tempo e al di fuori dei circuiti tradizionali del potere vaticano. È indicativo il dettaglio sulla scelta di Parolin, rivelato dal cardinale Oscar Rodrìguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e vicinissimo a Bergoglio. Maradiaga, che coordina la commissione chiamata a riformare la Curia, ha raccontato a monsignor Thomas Rosica, direttore della tv canadese Salt and Light, che occorrerà tempo per ridisegnare il governo. Ma ha anche raccontato che appena quattro giorni dopo la fine del Conclave, Francesco aveva già deciso di nominare Parolin al posto di Bertone come segretario di Stato. Come si sa, la notizia è stata poi ufficializzata solo il 31 agosto. Ma il particolare fornito da Maradiaga aggiunge sale sulle ferite di un «partito italiano» che aveva spedito Parolin come nunzio in Venezuela per allontanarlo dal cuore del potere vaticano.
Massimo Franco


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