La via d’uscita delle elezioni europee

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Anche se ogni tanto qualcuno vede la luce alla fine del tunnel, anche se ci sono segnali di una ripresina in corso, la lunga recessione ha ormai rivelato i caratteri strutturali che l’avvicinano alla grande depressione degli anni ’30.

Dopo sei anni di recessione che dall’Occidente irradia i suoi effetti sul resto del mondo, è possibile tracciare un bilancio per riflettere su cosa questa crisi ci ha fatto comprendere.
Sul piano politico-culturale la lunga recessione ci ha insegnato tre cose di grande rilevanza di cui non abbiamo ancora preso piena consapevolezza. La prima: non ci si salva da soli. Questo vale per il singolo cittadino, imprenditore o consumatore, come per gli stati, le regioni, i comuni. Vandana Shiva ha più volte denunciato in passato la tragedia di decine di migliaia di contadini indiani indotti al suicidio dai debiti contratti. Non pensavamo che noi (italiani, greci o spagnoli) potessimo assistere impotenti al suicidio di tanti lavoratori ed imprenditori.
In Argentina, dopo il crac finanziario del 2001 la società ha reagito, i legami sociali sono diventati più forti, si sono create nuove forme di scambio, equo e solidale, nuove forme di democrazia popolare e di economia sociale (imprese recuperate, monete locale, moderne forme di baratto, ecc.). Da noi, viceversa, i lavoratori licenziati o i piccoli imprenditori falliti si sono trovati completamente soli. A livello istituzionale la miopia politica ha portato ogni paese del sud Europa a cercare una via d’uscita in perfetta solitudine. I lavoratori, i movimenti hanno lottato tanto per opporsi alle politiche di austerity (dagli indignados spagnoli alle lotte popolari in Grecia), ma queste lotte sono rimaste confinate a livello nazionale.
La seconda lezione potrebbe intitolarsi non c’è più spazio per il riformismo. “Riforma” dagli anni ’90 del secolo scorso è diventata una parola tossica, minacciosa. Riforma della scuola, della sanità, del welfare o del mercato del lavoro ha significato solo la perdita secca di diritti e della qualità della vita. Oggi parlare di riforme e riformismo significa discutere di un “concordato fallimentare” delle nostre società. Ciò si traduce nel fatto che in politica è saltato non solo il compromesso socialdemocratico, ma anche l’idea che con qualche aggiustamento si possa far progredire la società nel suo complesso. Su questo piano centro-destra e centro-sinistra convergono, subalterni al primato dei mercati, all’ideologia che solo il Mercato può decidere dell’allocazione ottimale delle risorse, e quindi del livello dei salari, dei megastipendi per i manager, delle rendite finanziarie, delle fabbriche da chiudere o salvare, della sostenibilità del welfare.
Infine, la terza lezione che abbiamo appreso, nostro malgrado, è siamo europei. Il nostro destino è strettamente intrecciato a quello che sarà l’Unione europea nell’immediato futuro. E’ stato finora assolutamente fuorviante tutto il dibattito sull’uscita dalla crisi in chiave nazionale, o nazionalistica, a partire dal dibattito sull’euro. Chi sostiene l’uscita dall’Euro – da sinistra e, soprattutto, da destra- lo fa in una chiave strettamente nazionale (il ritorno alla lira, alla dracma, al marco ecc.), con la sola eccezione di Bruno Amoroso e pochi altri che prospettano la creazione di due monete, una per il Nord e l’altra per il sud Europa.
Fino al 2009, quando la crisi finanziaria statunitense si è riversata sull’Ue, abbiamo usato passivamente, magari con qualche mugugno, l’euro senza capire le ragioni di fondo della sua introduzione, così come siamo diventati cittadini europei più per inerzia che per convinzione. La crisi ci ha fatto capire che siamo diventati europei, ci piaccia o no. Possiamo distruggere questa costruzione politico-istituzionale, così come potevano sfasciare l’unità d’Italia se fosse prevalso il secessionismo della Lega o le tardive ondate neoborboniche nel nostro Sud. Ma possiamo ugualmente pensare di salvare l’Ue dalle forze distruttive alimentate dai tecno-burocrati ultraliberisti di Bruxelles, rilanciando innanzitutto il ruolo del parlamento europeo, proponendo un’altra visione del continente.
Non possiamo sottovalutare, nonostante i limiti sopra richiamati, le prossime elezioni europee: saranno, per la prima volta, vere elezioni, per scegliere quale Europa vogliamo, come hanno già scritto su questo giornale Marcon e Airaudo, Musacchio e A.Gianni, Bolini e Morea, ed altri. Finora le elezioni europee sono state vissute, nei singoli paesi, come elezioni minori in cui si giocavano partite nazionali, magari anche per sistemare gli esclusi dalle liste nazionali. Siamo chiamati a creare, fin da adesso, un dibattito sulle alleanze con tutte le forze europee di alternativa, all’austerity, all’ideologia neoliberista, alla mercificazione della natura, al culto della .
A partire dai paesi del sud Europa, è necessario arrivare ad una alleanza per una via d’uscita dalla schiavitù del debito che ha una sola parola-chiave: ristrutturazione. L’alleanza tra questi paesi deve necessariamente tendere a spostare l’asse europeo verso il Mediterraneo, sul piano economico, culturale e politico. Non è tollerabile un’Europa campione dell’indifferenza di fronte alle sofferenze, alle guerre che attraversano ormai la gran parte dei paesi della sponda sud del Mediterraneo. Un’Europa pavida, stupidamente egoista, che pensa di salvarsi dalla marea di profughi chiudendosi, ignorando da cinquant’anni la tragedia del popolo palestinese, pronta a smantellare quei diritti sociali che hanno rappresentato un punto di riferimento globale.
Anche per questo è importante l’appuntamento (“Europa che fare?”) del 28 settembre a Roma, alla casa internazionale delle donne, promosso da un gruppo di associazioni (Alternative Europe, Altramente – Arci – Fiom – Cercare Ancora, Iniziativa Femminista Europea Italia, Movimento Federalista Europeo, Sinistra EuroMediterranea – Transform Italia) protagoniste del Forum sociale mondiale di Tunisi e dell’Alter Summit di Atene del marzo e giugno scorsi. Incontri che hanno visto emergere, con forza e convinzione, i temi della costruzione della democrazia attraverso i diritti e della costituzione di una comunità EuroMediterranea capace di reggere ai colpi della globalizzazione del finanzcapitalismo attraverso la conquista di una autentica sovranità alimentare, energetica e monetaria, ed in quadro sociale di giusta ripartizione delle risorse.
www.sinistraeuromediterranea.it


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