L’AUSTRIACO CHE NON VOLEVA VINCERE

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RIVA DEL GARDA. Appena nonno Valentino, vecchia quercia delle valli trentine, annunciava “Venite bambini, che vi dico della guerra!”, il piccolo Mauro se la dava a gambe col resto della nidiata. Oggi che il “vecio” è morto dopo un onorato servizio in divisa austroungarica, Mauro Zattera farebbe carte false per risentire la sua voce. Forse per colmare il rimpianto per quelle storie perdute, da adulto, ha dato la caccia per anni agli ultimi testimoni viventi della Grande guerra, registrando fedelmente i loro racconti, fino a diventare uno dei migliori narratori del conflitto sul fronte trentino.
Il tempo s’è messo al bello e dal trincerone austriaco sulle pendici di cima Stivo, m. 2050, tra il Garda e Rovereto, Mauro mi descrive uno dei più perfetti paesaggi del fronte ’15’18. Vista mozzafiato sulle nevi dell’Adamello, le Alpi Giudicarie e il Cadria, il tavolato blu del Garda increspato dalla tramontana, il Baldo con l’Altissimo, la Val d’Adige, il Carega e il Pasubio con le Piccole Dolomiti. Identità perfetta di morte e bellezza.
Dietro di noi, i campi profumati di letame della valle di Gresta, piccola “Shangri-La” del biologico, con esportazioni in tutto il mondo.
Come i triestini e gli istriani, anche i trentini hanno combattuto per Franz Josef pur parlando la lingua di Dante. Anche qui il conflitto inizia nel ’14, sul fronte russo, con l’Italia ancora alleata degli “imperi centrali”. Una storia diversa. E delle tante memorie di guerra in Trentino, una delle più toccanti è il diario del tenente Felix Hecht, un delicato viennese che ha combattuto su cima Stivo e sul Cadria, per morire sul Corno di Cavento in Adamello. Un epopea, che Zattera conosce a memoria e racconta, forse con la stessa voce di nonno Valentino, nel trincerone con vista sul Garda.
Il 15 giugno del ’17, dopo un micidiale bombardamento, duemila alpini muovono sulla neve verso la postazione di Hecht, quota 3.405, presidiata da 200 Kaiserjäger che si dileguano in gran parte. Lui no, resta attaccato alla mitragliatrice e muore “für Gott, Kaiser und Vaterland”, per Dio, l’Imperatore e la Patria. A ucciderlo è il capitano Fabrizio Battanta, il “brigante del Cavento”, che ritrova nel giubbotto di lui un quaderno fitto di appunti in una stenografia illeggibile e corredato di alcuni disegni.
Il corpo di Hecht, com’era uso a quelle quote, viene sepolto in un crepaccio (non sarà mai più ritrovato) e la postazione austriaca diventa italiana. Battanta porta con sé il diario e lo conserva fino agli anni Sessanta, quando qualcuno scopre l’alfabeto di quella desueta stenografia, e il documento passa nelle mani di un antiquario bolognese e poi in quelle di Luciano
Viazzi, autore de “I diavoli dell’Adamello”. Oggi, finalmente tradotto, si trova nel museo di Spiazzo Rendena, presso Pinzolo.
Mauro legge. “Sul Cadria, natale 1916. Si canta Stille Nacht poi l’inno imperiale. Le vedette che rientrano mi regalano un alberello piccolissimo che metto nel bossolo di uno schrapnel e vi fisso dieci candeline; vi lego con uno spago le mie strenne e quando arriva il maggiore accendo le candeline e ne riluce la caverna.
Un tenente suona con l’armonica a bocca vecchi motivi che ci portano lontano e ci rattristano; tutti sembrano allegri, ma nelle pupille ci sono le loro case”.
La verità emerge da sola. Hecht è un fervente cattolico e odia l’inutile massacro. Fa il suo dovere fino in fondo, ma almeno fissa la sua contrarietà su carta, in un diario segreto, che nessun altro deve leggere. “Rabbia bestiale — scrive — mi prende col comandante dei prigionieri di guerra italiani, che egli lascia dormire senza coperte senza darsi cura di procurarle; questi poveri prigionieri che egli chiama “mascalzoni” hanno
fatto il loro dovere in guerra certo meglio di taluni nostri “porci” imboscati nei comandi truppa”.
Rivelazioni da corte marziale. “Mando un caporalmaggiore di rinforzo all’avamposto… e a stento riesco a trattenerlo dal fulminare il tenente italiano che sporge netto a meno di 150 metri”. E poi la malinconia, il senso della fine di un epoca, il desiderio di non sopravvivere al nuovo mondo. “Per la prima volta comincio a temere il crollo dell’impero austriaco visto che la guerra sembra prolungarsi all’infinito… Quando verrà la pallottola a mettere fine a questa situazione insopportabile? … La morte strappa uno dopo l’altro gli amici migliori e si rafforza in me la determinazione di morire valorosamente come loro”.
Tenente Hecht, chissà quando il ghiaccio restituirà il tuo corpo triste e gentile. Presto si va lassù, alla fine della storia, e sembra impossibile che oltre la lama turchina del Garda inizi il fronte abbacinante dei ghiacci, e che lì pochi uomini abbiano combattuto come cavalieri antichi, rispettandosi, lontani dai quartier generali e dai massacri di massa.
Il tempo è splendido, mi stendo al sole, fermo come una vipera, voglio scaldarmi le ossa dopo questo mese infame di pioggia, di fango e trincee.
La giornata che segue è tersa, perfetta. La celebro con l’alpinista Franco Perlotto su per lo spigolo Susatti, una ferrata che porta a cima Capi a precipizio sul lago, vetta che un reparto di finanzieri conquistò salendo di notte con la pioggia, per essere sterminata al mattino dai cecchini. Traversiamo dal recondito lago di Ledro, habitat di misteriosi palafitticoli e dai fondali pieni di cimeli di guerra, lungo un impervio sentiero a mezzacosta nella macchia profumata, finché una forra si spalanca sul Garda, trecento metri sotto.
Si sale zigzagando tra paretine, ricoveri, ferri, terrazzini e trincee. Sotto di noi ron-ron di traghetti e veleggiar di surfisti, sopra di noi l’ombra di un falchetto. La contiguità fra le linee nemiche è tale che pochi sanno raccapezzarsi. Tra le rocce, lo stemma del 40° fanteria Bologna, poi la figura di un baffuto Alpenjager con pipa ricurva e sbuffo di fumo.
Molto sotto di noi, invisibili, le vertiginose postazioni austriache della “Tagliata”, scavate negli strapiombi e mai conquistate dagli italiani. Poi il bivacco Arcioni, dove fumano polenta e spezzatino e il bianco frizzante della valle va giù che è una meraviglia.
(25. continua)


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