Le miliardarie rosse scalano le classifiche

Loading

PECHINO — Sono cinesi metà delle miliardarie più ricche del mondo. E tre donne della Repubblica Popolare si piazzano tra le prime dieci della classifica di imprenditrici e finanziere alla guida di gruppi con la maggior capitalizzazione. Il conto lo ha fatto la «Hurun Rich List 2013» di Shanghai, una sorta di bibbia del capitalismo privato in Cina.
Nella classifica dei miliardari internazionali (in dollari), nessun maschio cinese entra tra le prime dieci posizioni. Qual è il segreto del successo «rosa-rosso»? Rupert Hoogewerf, presidente di Hurun, dice che la grande avanzata delle donne nella seconda economia del mondo, dimostra come «l’ambiente per il business è equilibrato in Cina». Poi aggiunge una sua teoria: uno dei motivi è l’odiata «legge del figlio unico» che permette alle donne cinesi di avere più tempo per dedicarsi anima e corpo agli affari, mentre le occidentali debbono interrompere per il secondo, magari il terzo bambino; e poi il sistema cinese dei nonni, che si curano della crescita del bimbo.
Stiamo parlando di miliardarie, non di semplici donne in carriera, ma il giudizio ha comunque un suo interesse. Interpretazioni sociologiche a parte, per tornare ai numeri, la Cina ha oggi 315 miliardari (tra maschi e femmine), continuano ad aumentare nonostante il rallentamento della crescita del suo Pil: nel 2013 si sono aggiunti altri 64 nomi rispetto ai calcoli del 2012.
La donna più ricca della Cina è Yang Huiyan, 32 anni e 51 miliardi di yuan, pari a circa 6,5 miliardi di euro. La Lista di Hurun precisa che 34 delle prime 50 miliardarie in classifica sono self-made: un dato non sorprendente, visto che il Partito comunista ha permesso l’iniziativa privata e ha scoperto che «arricchirsi è glorioso» solo con Deng Xiaoping, meno di trent’anni fa.
La signora Yang, che si è laureata negli Stati Uniti, però non è proprio una self-made woman: ha ricevuto dal padre nel 2007 il controllo del gruppo immobiliare di famiglia, il Country Garden del Guangdong. Ma lo ha saputo guidare con mano sicura, visto che nell’ultimo anno gli asset si sono apprezzati del 60 per cento.
La Cina comunque può vantare anche la donna più ricca del mondo ad essere venuta su dal niente: si chiama Chen Lihua, 37 miliardi di yuan (quasi 5 miliardi in euro), ha 72 anni e un bell’impero nell’edilizia commerciale a Pechino. Chen ha sorpassato un’altra cinese, Wu Yajun, 49 anni: Wu però sconta il divorzio dal marito che a novembre dell’anno scorso le è costato oltre 3 miliardi, vale a dire il 29 per cento del pacchetto azionario della sua Longfor Properties. Una spartizione legittima, dato che la società l’avevano fondata insieme ai tempi in cui si amavano. Così ora lui, il signor Cai Kui, con la sua quota è entrato in classifica tra i miliardari di Hurun. Wu non se l’è presa per il declassamento: ha fatto sapere che non essere più prima le toglie il fastidio di essere sempre citata per i suoi soldi. La sportiva Wu peraltro si può consolare con altre citazioni: «Forbes» l’ha collocata tra le 50 più influenti del pianeta, resta al 299esimo posto tra i ricchissimi e nel tempo libero siede a Pechino tra i deputati del Congresso Nazionale del Popolo. In questa veste politica non è un’eccezione: sono 153 i miliardari cooptati nell’Assemblea nazionale, che peraltro ha un valore consultivo, visto che le decisioni sono prese dai magnifici sette del Comitato Permanente del Politburo. Comunque è una riprova della contiguità e commistione tra potere politico ed economico a Pechino.
Nelle stanze segrete del Partito comunista e dello Stato (che poi sono la stessa cosa) le signore sono invece una rarità: solo due tra i 25 membri del Politburo.
Le cinesi sono eccellenti negli studi e stanno conquistando posizioni di vertice nel management aziendale: sono il 51 per cento nei ruoli senior, secondo la società Grant Thornton di Chicago. In questa statistica il balzo in avanti è stato apparentemente prodigioso: l’anno scorso le dirigenti erano il 25%.
Le miliardarie cinesi hanno anche un altro primato sui colleghi uomini: sono più giovani, con un’età media di 48 anni rispetto ai 52 dei maschi.
Abbiamo parlato di miliardi e potere: ma poi ci sono le lavoratrici normali, e per la stragrande maggioranza di loro la diseguaglianza di genere in Cina è ancora grave. E il gap salariale invece di colmarsi si allarga: le lavoratrici dipendenti nelle città cinesi guadagnavano il 78 per cento dei colleghi maschi nel 1990. Ora sono scese al 67 per cento.
Guido Santevecchi


Related Articles

Economia insostenibile. Il quantitative easing avvelena il clima

Loading

Denuncia dell’osservatorio Ceo: con gli aiuti Bce si finanziano solo le multinazionali. In barba alle politiche «verdi» dell’Ue

Sul clima Trump trasforma orwellianamente la verità

Loading

American Psycho. Come in 1984: sostituite le parole per «diminuire» le minacce dei cambiamenti climatici

Il pastore che si erige a paladino delle libertà 

Loading

Domenica il presidente del parlamento Norbert Lammert ha letto il risultato dello scrutinio per l’elezione del presidente della repubblica.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment