Spalmare il debito su tre generazioni il piano di Berlino per salvare la Grecia

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C’È una crudeltà così palese nel calendario europeo che non può essere premeditata. Mentre domenica Angela Merkel celebrava il suo trionfo a Berlino, su Atene atterrava l’aereo della troika: «gli uomini in nero» — copyright del ministro spagnolo Luis de Guindos — della Commissione, della Bce e del Fondo monetario mandati a controllare che i prestiti alla Grecia vengano usati per il meglio.
Il labirinto della crisi dell’euro, dopo il voto tedesco, riparte da qua. I tecnici della troika hanno iniziato domenica stessa i loro incontri, ma sapevano da prima cosa avrebbero trovato. Ancora una volta la Grecia sta scivolando indietro sulla tabella di marcia che dovrebbe riportarla a finanziarsi da sola tra qualche anno. È vero che la recessione si attenua e il crollo del prodotto lordo nel 2013 sarà di meno del 4% per la prima volta dal 2010. Ma secondo le stime dell’Fmi, il paese avrà bisogno di 11 miliardi di prestiti in più tra circa un anno e la traiettoria del debito prosegue nella direzione sbagliata: in teoria nel 2020 dovrebbe essere al 120% del Pil, però nel frattempo è risalito al 175% malgrado si sia appena consumato in Grecia il più vasto default della storia.
È per questo le grandi manovre dell’eurozona stanno venendo alla luce, ora che le elezioni tedesche sono alle spalle. È probabile che presto riguarderanno anche il Portogallo, ma per ora la Grecia resta prima nella lista delle emergenze. Il suo debito è ancora troppo alto perché possa essere mai rimborsato, eppure una nuova insolvenza sembra fuori discussione. Wolfgang Schaeuble, il ministro delle Finanze, rifiuta anche solo di parlarne, perché per i politici dei paesi creditori si tratterebbe di una scelta incendiaria. Atene ormai è infatti esposta verso i governi europei su 160 dei 240 miliardi (in parte in parte ancora da versare) del piano di salvataggio. Dichiarare che la Grecia non rimborserà, significa dire ai contribuenti che non rivedranno mai il denaro che era stato chiesto loro a titolo di prestito: una realtà difficile da spiegare, e non solo in Germania. In Italia ogni abitante sta mettendo a rischio in Grecia 400 euro, 24 miliardi per il totale del paese; in Germania sono 525 euro a testa e 43 miliardi per la Repubblica federale nel complesso.
Questi numeri fanno sì che l’Europa stia cercando una via d’uscita diversa da un esplicito default. In realtà, è già stata discussa con Atene e ci si lavorerà ancora di più da ora in poi: l’idea di fondo è di ridurre gli interessi e allungare i termini di rimborso dei prestiti su decine di anni. Toccherà probabilmente ai nipoti dei contribuenti di oggi rivedere il denaro versato per Atene in questi anni. Nel frattempo di fatto alcuni governi, Germania in testa, diventeranno azionisti di un altro. Non sarebbe una novità, perché per esempio il debito contratto da Londra verso gli Stati Uniti durante la Grande Guerra fu spalmato fino ai primi anni ‘90. Ma una soluzione del genere potrebbe gradualmente allargarsi nell’area euro. In particolare è il Portogallo a preoccupare di più Merkel: l’economia continua a crollare e il debito pubblico quest’anno raggiungerà il 124% del Pil. I tassi d’interesse sono tornati a salire al punto tale che è impensabile che Lisbona si finanzi sui mercati nel 2014 come previsto dai piani ufficiali: avrà bisogno di nuovi prestiti dall’area euro e senz’altro faticherà a rimborsarli. Eppure, per ora, a Berlino l’idea di lasciare che il Portogallo faccia default verso i creditori privati, alleggerendo così il debito, resta tabù.


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