Trucchi del Regime, Trappole qaediste tutte le Incognite per gli Ispettori Onu

by Sergio Segio | 15 Settembre 2013 7:12

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WASHINGTON — L’accordo russo-americano di Ginevra è un accordo importante. Però non è la fine ma l’inizio di un processo sul quale pesano tante incognite. E che, per ora, non mette fine alla guerra, anche se qualcuno non vuole sentirlo dire.
LA SINCERITA’
Per decenni Assad ha fatto finta di non avere un arsenale chimico, nascondendolo dietro dichiarazioni ambigue e un reticolo di rifugi. Poi nell’arco di pochi giorni la svolta e il sì formale all’intesa. Un atteggiamento che riempie di sostanza i sospetti e si lega alla «localizzazione» dell’arsenale, circa 1000 tonnellate. A dicembre 2012 fonti americane avevano sostenuto che le armi si trovano in tre aree: Masyaf e Furqlus vicino a Homs; Khan Abu Shamat, 50 km a est di Damasco. Pochi giorni fa, sempre informazioni statunitensi hanno lanciato l’allarme affermando che l’unità 405, reparto coinvolto nel programma chimico, le ha spostate in una cinquantina di siti. Si è parlato dell’area di Palmyra e di altre località, con depositi improvvisati in edifici civili. Diversa un’analisi attribuita all’intelligence israeliana, secondo la quale i gas si trovano in 4 o 5 posti. A questo punto sarà la Siria a dover dare le indicazioni e Mosca a far da notaio. Assad può «dimenticarsi» di alcuni razzi chimici, può celarne altri in vista dello scontro finale con gli insorti. Si è detto che avrebbe addestrato all’uso diverse milizie create in questi mesi e diventate fondamentali per il controllo del territorio. Tutti rammentano il «catenaccio» organizzato dagli iracheni nei mesi precedenti all’invasione del 2003. L’opposizione insinua anche che abbia portato i gas in Iraq e in Libano, nelle mani degli Hezbollah. Tesi non nuova, già nel 2012 era stata evocata senza trovare conferme. In ogni caso la missione di verifica dell’Onu non sarà agevole.
LA SICUREZZA
Basterebbe poco — una sparatoria o un’autobomba messa da chiunque — per stoppare i controlli da parte degli ispettori. La frammentazione politica e territoriale favorisce sabotaggi e provocazioni. Ricordiamo che dei Caschi Blu, armati, sono stati presi in ostaggio sul Golan. Poi c’è la questione della «gestione». Un’ipotesi parla di concentrare il materiale nella base navale di Tartus dove sono presenti anche i russi. Dunque saranno necessari dei convogli che richiedono una tutela robusta. L’ex senatore americano Richard Lugar ha sostenuto che gli Usa hanno messo a punto un sistema mobile per la distruzione dei gas, in questo modo si eviterebbe il trasferimento. Il politico è un esperto: non solo è stato protagonista dei negoziati sul disarmo con la Russia, ma nell’aprile del 2012, durante una visita a Mosca, ha avanzato per primo l’idea di un controllo dell’arsenale siriano.
L’OPPOSIZIONE
A Ginevra nessuno è sembrato considerare l’opposizione. Un errore. L’Esercito libero siriano, in teoria la componente più moderata o meno estrema, ha espresso tutta la sua contrarietà all’accordo Russia-Usa. Bashar, secondo gli insorti, grazie all’intesa potrebbe cogliere il momento per sferrare una nuova offensiva usando tank e aerei, ossia quei mezzi responsabili della morte di migliaia di persone. Cosa accade se i ribelli lanceranno attacchi durante il lavoro delle Nazioni Unite? O se i combattimenti investono le zone dei depositi? Lo stesso regime potrebbe usare eventuali scontri come un pretesto per non adempiere a quanto previsto dall’intesa ginevrina.
GLI ESTREMISTI
Tra gli scenari studiati dal Pentagono ne esiste uno che preoccupa molto: quello di una formazione ribelle qaedista con in mano i gas. Nella situazione di caos, con molte basi perdute dal regime, il movimento Al Nusra, determinato e ben addestrato, potrebbe cercare di impossessarsi delle armi chimiche. Anzi, secondo il regime, gli insorti le hanno ottenute grazie all’aiuto di qualche Paese musulmano e poi le hanno usate. Gli americani e gli israeliani ritengono che l’eventuale dispersione degli ordigni potrebbe favorire un’operazione degli insorti. Pericolo accresciuto dalla proliferazione dei gruppi, talvolta — come avviene in questi giorni — impegnati in scontri tra loro. L’instabilità dello schieramento lealista sommato alla confusione del campo nemico rappresentano, purtroppo, le condizioni ideali per qualsiasi tipo di manovra. Lo stesso Assad, per mesi, ha giocato sul fattore «armi in mani sbagliate» ed ha assicurato — attraverso canali riservati — di essere nel pieno controllo della situazione. Gli hanno creduto. Anche per convenienza. Ora non c’è più la certezza assoluta. E l’iniziativa russa probabilmente ne ha tenuto conto. A patto che quanto annunciato a Ginevra da John Kerry e Sergei Lavrov non resti solo una promessa.

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