Il grido del Papa: «Vergogna»

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CITTÀ DEL VATICANO — «È una vergogna», scandisce il Papa. Neanche tre mesi fa Francesco arrivò a «piangere i morti» e stava proprio lì, sul molo di punta Favarolo, dove adesso si allineano i cadaveri e piangono anche i soccorritori. Passò accanto agli scafi sfondati e al «cimitero dei senza nome» che custodisce i pochi resti delle migliaia di esseri umani affogati nel Mediterraneo in 25 anni, denunciò la strage degli innocenti e la «globalizzazione dell’indifferenza», chiese all’Europa e al mondo di non lasciare soli Lampedusa, i suoi abitanti e i naufraghi disperati che aveva visto aggrappati alle gabbie dei tonni, giovani, donne, bambini. Aveva deciso d’impulso di andare là: il primo viaggio, non previsto, del pontificato. «Preghiamo per avere un cuore che abbracci gli immigrati. Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi». Applausi planetari mentre rivolgeva a tutti la domanda di Dio a Caino: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Poi non è successo niente.
Così, quando gliel’hanno detto, l’espressione gli è venuta spontanea. «Mi viene la parola vergogna. È una vergogna!». Poi il Papa ha alzato lo sguardo: «Preghiamo insieme Dio per chi ha perso la vita: uomini, donne, bambini, per i familiari e per tutti i profughi. E uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano simili tragedie. Solo una decisa collaborazione di tutti può aiutare a prevenirle». Lo aveva chiesto, «per favore», anche a luglio. Invocando da Dio il perdono «per l’anestesia del cuore», per quelli che provocano tutto questo «con le loro decisioni a livello mondiale».
In Italia il premier Enrico Letta ha proclamato per oggi il lutto nazionale, le scuole osserveranno un minuto di silenzio per una tragedia che ha ucciso tanti bambini e ragazzi. Il fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi ha proposto i funerali di Stato a Roma. Il presidente delle comunità ebraiche, Renzo Gattegna, chiede che «si intervenga sul piano internazionale, agendo sui punti di partenza di queste fughe disperate». A Roma la comunità aveva chiesto subito il lutto nazionale, il rabbino capo Riccardo Di Segni spiega che «la difesa della dignità umana dev’essere in cima all’agenda politica». Parole affini a quelle del Papa che oggi andrà ad Assisi per richiamare all’essenza del Vangelo e proprio ieri doveva parlare della «Pacem in Terris», l’enciclica che Giovanni XXIII pubblicò cinquant’anni fa: il grido «pace, pace!» di Roncalli, ha ricordato, si fondava sulla «origine divina dell’uomo, della società e dell’autorità stessa, che impegna i singoli, le famiglie, i vari gruppi sociali e gli Stati a vivere rapporti di giustizia e solidarietà». Gli avevano appena detto dell’ecatombe in mare e Francesco è andato oltre il testo scritto: «Parlando di pace, della inumana crisi economica mondiale che è un sintomo grave della mancanza di rispetto per l’uomo, non posso non ricordare con grande dolore le numerose vittime dell’ennesimo tragico naufragio avvenuto al largo di Lampedusa…».
Ecco: «Guardando alla nostra realtà attuale, mi chiedo se abbiamo compreso la lezione della “Pacem in Terris”», ha sospirato il Papa. Giustizia, solidarietà. Preoccupazione per l’assenza di rispetto «per l’uomo e per la verità con cui sono state prese decisioni da parte dei governi e dei cittadini». La «dignità di ogni essere umano» va «rispettata e tutelata sempre».
Restano le domande dolenti che a Lampedusa avevano scandito l’omelia di Francesco: «Chi di noi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”…».
Gian Guido Vecchi


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