“Superstiti indagati e scafisti impuniti quella legge è assurda ma devo applicarla”

by Sergio Segio | 6 Ottobre 2013 7:51

Loading

LAMPEDUSA — A Kedrat, che è stata strappata alla morte quando era già allineata tra i cadaveri sul molo di Lampedusa e che nel naufragio ha perso il bimbo che portava in grembo, lo Stato potrebbe chiedere anche 5000 euro, la multa prevista per chi mette piede sul suolo italiano da clandestino. A Khaled Ben Salam, che ha portato fin davanti l’Isola dei Conigli la barca con il suo folle carico di 518 persone, 252 delle quali ancor imprigionate a 47 metri di profondità, la giustizia italiana probabilmente invece non potrà presentare il conto perché condannare e tenere in carcere gli scafisti è praticamente impossibile. Ai turisti e ai pescatori che all’alba di giovedì si sono fatti in quattro per afferrare quelle braccia disperate che salivano e scendevano dall’acqua implorando aiuto potrebbe anche arrivare un avviso di garanzia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre quelli che alle 3.30 del mattino hanno girato intorno al barcone maledetto facendo finta di non vedere per evitare guai dovranno solo rispondere alla loro coscienza. Ai profughi che ce l’hanno fatta e che pensano che il peggio è passato toccherà avere molto pazienza perché qui, stipati in quella stalla che è diventato il centro di accoglienza di Lampedusa e poi probabilmente in qualche centro per i rifugiati, dovranno rimanere per chissà quanto tempo in attesa che, con i suoi lunghissimi e farraginosissimi tempi, una qualche commissione decida se hanno o no i requisiti per l’asilo politico. Un asilo politico che, tanto per cominciare, la più parte dei profughi eritrei, somali o siriani arrivati qui non vogliono,
almeno non in Italia, dove invece dovranno lasciare le impronte digitali ed essere fotosegnalati. Da Lampedusa, dopo aver pianto e seppellito i loro morti, vorrebbero scappare subito per andare in Svezia, Norvegia, Germania, a raggiungere familiari ed amici, a costruire una nuova vita per i loro figli, almeno per quelli che sono riusciti a salvare.
In una Lampedusa percorsa ancora dalle polemiche, con i pescatori che ieri hanno rincarato la dose accusando la Guardia costiera di “stare lì a fare foto e video” mentre loro soccorrevano gli immigrati, i pm sono alle prese con il consueto percorso ad ostacoli della Bossi-Fini. Esclusa dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo qualsiasi indagine sui ritardi nei soccorsi (nonostante la denuncia presentata alla Procura militare di Napoli da un ex generale dell’aereonautica in pensione, per altro padre dell’avvocato dello scafista), i pm procedono con l’iscrizione nel registro degli indagati per il reato di immigrazione clandestina dei 155 profughi. «Così come tutte le altre decine di migliaia di persone che dal 2009 sono arrivati in Italia così — spiega Fonzo — Noi non possiamo che applicare la legge. Ogni volta chiediamo ai giudici di pace competenti l’archiviazione di queste posizioni ma non la otteniamo perché dovremmo essere in grado di dimostrare, per ciascun migrante, perché ha deciso di venire in Italia. Siamo dunque obbligati all’imputazione coatta e i processi si concludono con le condanne alla pena pecuniaria di 5000 euro che naturalmente nessuno ha mai pagato ». E i paradossi non finiscono qui. Solo per raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti del naufragio, ad esempio, il pm Andrea Maggioni ha dovuto attendere l’arrivo di un avvocatessa di Agrigento perché l’unico legale di Lampedusa, l’avvocato Carlo Scarpa, difende il presunto scafista e dunque non può rappresentare anche chi lo accusa. Ma loro, gli uomini, le donne e i bambini che sono sopravvissuti, per la legge italiana sono indagati di un reato “connesso” con quello dei loro carnefici, di chi questa tratta umana ha organizzato.
E ancor di più incastrare lo scafista che in tanti hanno individuato e per il quale i pm della Procura di Agrigento stanno preparando un provvedimento di fermo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio e omicidio colposo, non sarà affatto facile. Le prove a suo carico stanno infatti nelle dichiarazioni accusatorie dei superstiti ma per avere validità processuale dovranno andare a ripeterle in aula. «E io, tra un anno quando presumibilmente con i tempi della giustizia potremo arrivare ad un dibattimento, dove vado a pescarli questi 155 sopravvissuti che saranno sparsi chissà dove? — dice ancora il procuratore Fonzo — Dunque, come prevede la legge, queste dichiarazioni diventano inutilizzabili e il presunto scafista sarà rilasciato ed espulso. E magari ce lo ritroveremo di nuovo qui un’altra volta, come è già accaduto».
Per i 155 che oggi tutti vogliono ospitare e aiutare la strada invece è tutta in salita. «Vogliamo andare via subito da qui, dopo aver riconosciuto i nostri morti e rimandato le salme in Eritrea — hanno detto al presidente della Camera Boldrini — Lampedusa ci ricorderà sempre un dramma. Vogliamo andare dai nostri familiari in nord Europa». Ma la legge dice un’altra cosa. Dice che devono essere tutti fotosegnalati e che devono lasciare le loro impronte digitali e dunque l’asilo politico potranno richiederlo solo in Italia con i tempi e le modalità previsti: 180 giorni in uno dei centri per richiedenti asilo in attesa che le commissioni provinciali esaminino caso per caso. E addio Germania, Svezia, Norvegia. A meno che qualcuno non si giri dall’altra parte e li lasci scappare, prendere un treno e provare a passare una frontiera. Ancora una volta da clandestini.

Post Views: 157

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/10/2013-10-06-07-53-20/