I superstiti prigionieri a Lampedusa “Nel resto d’Italia non c’è posto”

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LAMPEDUSA — Da giorni, fascia tricolore indosso, guida lo “Stato” lungo il tour dell’orrore. Una via crucis che si ripete: l’hangar con le bare, il molo Favaloro con i corpi recuperati in mare, il centro di accoglienza con il suo indecoroso spettacolo. Oggi, giorno di pausa prima dell’arrivo della tanto invocata Europa, mentre la tragica conta delle vittime del naufragio è arrivata a quota 232, il sindaco Giusi Nicolini avverte: «Se Barroso e Alfano devono venire qui a farci le condoglianze e basta, possono mandarmele anche via email. Non c’è bisogno che si disturbino. Qui c’è solo da lavorare e subito». Basta parole.
Questa giovane sindaco ambientalista che in 15 mesi di mandato ha vissuto già tre naufragi di immigrati, sa bene cosa chiedere alle istituzioni. «Al governo italiano chiedo un decreto che abolisca  immediatamente il reato di immigrazione clandestina, al presidente della Camera Boldrini di mettere all’ordine del giorno la modifica della Bossi-Fini perché di disegni di legge già pronti ce ne sono diversi, all’Europa chiedo la modifica del regolamento di Dublino ». Quello, per intenderci, che obbliga i profughi che sbarcano a Lampedusa a chiedere asilo politico all’Italia e che vieta poi loro di andare a raggiungere familiari e a cercare lavoro in altri paesi. Anche per questo oggi i pochi centri richiedenti asilo di tutta Italia scoppiano tanto che, a cinque giorni dal naufragio, non si trova posto per i 155 superstiti che sono ancora lì, stipati come sardine, nel centro di prima accoglienza di Lampedusa. Che, con i suoi 928 ospiti a fronte di una capienza di 250, riceverà domani la visita del presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso, accompagnato dalla commissaria agli affari interni Cecilia Malstrom e dal ministro dell’interno Alfano che, alla sua prima visita a Lampedusa, poche ore dopo il naufragio, non aveva messo piede nei padiglioni di contrada Imbriacola.
Una visita, quella delle istituzioni europee, a cui il presidente della Repubblica Napolitano guarda con grande attenzione perché — ha ribadito ieri da Cracovia — «ricordo che si tratta di asilo, che non è immigrazione, è un’altra cosa. L’asilo è in questo momento al centro della nostra
attenzione perché è una vera e propria ondata di profughi che non sono immigrati, legali o illegali ».
A sollecitare azioni concrete dell’Europa è stato ieri il presidente dell’europarlamento Martin Schulz, secondo il quale ogni paese della Ue dovrà accogliere un numero maggiore di immigrati. «È una vergogna che l’Unione europea abbia lasciato così a lungo l’Italia da sola ad affrontare il fenomeno del flusso di immigrati dall’Africa», ha detto Schulz, mentre Barroso, alla vigilia della riunione dei ministri degli interni europei, avverte: «Sapete quanto la Commissione preme per un approccio più integrato in questo settore. Dipende dagli stati membri, se vogliono darci strumenti e risorse finanziarie. Mercoledì presenterò la mia solidarietà alla gente di Lampedusa e a quelli che hanno sofferto per questa crisi. Voglio vedere con i miei occhi ciò che accade a Lampedusa e ciò che si può fare insieme».
Nell’isola, intanto, magistratura e forze dell’ordine procedono a tappe forzate. L’indagine della procura di Agrigento guidata da Renato Di Natale, che ieri ha aperto un fascicolo sulla denuncia presentata dall’ex generale dell’aeronautica in pensione Vittorio Scarpa, si estenderà anche alla verifica dei presunti ritardi nei soccorsi, ma solo dopo aver concluso gli atti urgenti relativi all’identificazione dello scafista, fermato in seguito alle dichiarazioni convergenti di moltissimi dei superstiti.
Nell’hangar dell’aeroporto, dove vengono portate le nuove salme recuperate nel relitto dai sommozzatori, continuano anche le penose operazioni di riconoscimento dei corpi già composti nelle bare allineate su tre file. Un compito al quale cerca di dare una mano anche il sacerdote eritreo don Mosè Zerai. A lui, dall’Eritrea, i familiari dei profughi che erano a bordo del barcone maledetto hanno fatto giungere le foto dei loro cari che, insieme all’esame del Dna, potrebbero facilitare i riconoscimenti delle salme. «Fino a ora — spiega il sacerdote — ho ricevuto le foto di una settantina di persone quasi certamente morte nel naufragio». Don Mosè ribadisce l’appello lanciato ieri al governo italiano affinché le salme non siano seppellite in Italia, ma trasferite in Eritrea con un volo umanitario.
A fronte di tanto dolore, l’Italia si scopre solidale. Il sindaco, che sta ricevendo decine di offerte concrete di aiuto, ha deciso di attivare un conto corrente per le donazioni (Iban IT 21A 02008 82960 000300001307 causale Solidarietà per Lampedusa).


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