Obama sospende gli aiuti militari: «Dal golpe nessun progresso visibile»

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Gli Stati uniti hanno sospeso gli aiuti militari all’Egitto, pari a 1,3 miliardi di dollari (dopo un taglio approvato lo scorso agosto in seguito al colpo di stato militare pari a 200 milioni). La consegna di sistemi militari e finanziamenti diretti al governo saranno cancellati. Il portavoce del dipartimento di Stato Jen Psaki ha richiesto «progressi credibili» verso elezioni libere per ripristinare gli aiuti al Cairo. «Gli Stati Uniti lavoreranno con il governo ad interim egiziano e con il Congresso per continuare a fornire sostegno i cui benefici andranno direttamente al popolo egiziano in aree come la sanità, l’insegnamento, e lo sviluppo del settore privato», si legge in un comunicato. Già l’Unione europea aveva cancellato aiuti militari pari a 405 miliardi di dollari. D’altro canto, Arabia saudita, Kuwait e Emirati arabi avevano fornito 12 miliardi di dollari subito dopo il colpo di stato militare del 3 luglio scorso.
Dopo la mancata consegna di F-16, gli Stati uniti stanno per fermare la consegna di elicotteri Apache, missili Harpoon e carri armati. Washington pensa anche di fermare il trasferimento di 260 milioni di dollari e 300 milioni in garanzie per prestiti. Secondo il dipartimento di Stato si tratta più di un avvertimento che di una decisione di lungo termine. Non solo continuerà ad essere assicurata l’assistenza sanitaria ed educativa oltre agli aiuti alla sicurezza per affrontare la grave crisi di sicurezza nel Sinai.
Per capire le ragioni della mossa, abbiamo raggiunto al telefono a Los Angeles il professor Roger Owen, docente di Storia del Medio Oriente all’Università di Harvard. «Non è un provvedimento che sarà mantenuto in vigore per due ragioni precise. – inizia Owen – La prima è che gli Stati uniti assicurano lo stesso ammontare di aiuti (1,5 miliardi di dollari) ad Israele. E un taglio all’Egitto potrebbe causare squilibri nel lungo termine. Poi, quattro senatori democratici fanno affari con industrie militari egiziane. D’altra parte, gli aiuti americani non servono all’Egitto perché le forze armate del Cairo non sanno neppure usare le forniture militari che vengono da Washington. Tuttavia, gli Stati uniti temono ogni possibile ripercussione sui privilegi accordati alla marina Usa nel Canale di Suez. Per questo, se lo scopo è di influire sulle decisioni del capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi, Obama deve trovare altre vie», aggiunge Owen.
La decisione potrebbe lasciare le mani liberi alle ingerenze dell’Arabia saudita. «Chi dà finanziamenti può esercitare un certo controllo. È quello che in questa fase fa l’Arabia saudita. Ma anche quei finanziamenti non sono utili né ben spesi dal governo egiziano che non è trasparente, né controllabile. Lo sa bene il premier Hezam Beblawi che guida un governo disfunzionale in un contesto di grave crisi economica», ammette il docente di Harvard. Il 4 novembre Morsi sarà processato, la vendetta contro la Fratellanza non viene messa in discussione dai liberali. «I movimenti liberali hanno vissuto un momento di isteria credendo reale l’inizio di una sorta di dittatura religiosa con i Fratelli musulmani al potere. Tuttavia, non hanno assunto una posizione coerente per mancanza di base elettorale. I liberali egiziani non hanno connessioni con la società civile. Per esempio in Tunisia, i sindacati sono parte essenziale del movimento islamista che sostiene Rashid Ghannushi. In Egitto, invece, i laici stanno facendo quadrato intorno al ministro della difesa Abdel Fattah Sisi (nella foto reuters) che sta sta per rcreare un vero partito, sulle ceneri del dissolto Partito nazionale democratico dell’ex presidente Mubarak», spiega Owen.
Ma ora lo scontro esercito-islamisti sembra insanabile. «Da decenni esercito e Fratellanza si combattono. Ora però i militari sono vicini ad una “linea rossa”: smantellare i servizi sociali forniti dai Fratelli musulmani. Se lo fanno, lo scontro diventa molto serio. – conclude Owen – Così come il presidente della Repubblica tunisina Marzuki è preoccupato per i jihadisti che combattono nel deserto, l’esercito sa che ha aperto un fronte nel Sinai, verso una nuova ondata di terrorismo. Per questo Catherine Ashton (Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, ndr) ha chiesto a Sisi di avviare colloqui con il deposto presidente Morsi. Sarà chiaro solo con l’approssimarsi delle elezioni se i partiti religiosi potranno partecipare oppure i Fratelli sapranno accontentarsi di candidati indipendenti».


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