Reato di clandestinità Cinque Stelle al bivio: conclave blindato

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ROMA — Un incontro in un luogo da definire e lontano dal Palazzo. Forse già nel weekend. Il chiarimento nel M5S sul «sì» al reato di clandestinità ci sarà al più presto. Per ricompattare gli animi dopo quel «post» della discordia con il quale, giovedì, il leader M5S e Gianroberto Casaleggio sconfessavano gli autori dell’emendamento per depenalizzare la clandestinità, passato in commissione Giustizia al Senato, ricordando che non era nel programma M5S. E che, se ci fosse stato, avrebbe procurato al movimento «percentuali da prefisso telefonico».
Argomentazioni che non tutti nel movimento condividono. E, alla luce della nuova tragedia del Canale di Sicilia, si fanno più difficili da sostenere. «Dobbiamo sempre rispettare il programma e le regole», spiega però il deputato Riccardo Fraccaro. La collega Giulia Di Vita parla di «corto circuito comunicativo». Mentre Alessandro Di Battista, fedelissimo alla linea del movimento, si sofferma sul «metodo». E twitta: «Lo reputo (parlo di metodo) eccessivamente di pancia (anche se Beppe questo sa fare, parla e ascolta la pancia della gente)».
Obietta sul metodo usato da Grillo anche Stefano Rodotà, che i M5S volevano presidente: «L’attività parlamentare richiede che si colga l’attimo, non si può consultare la rete». E avverte: «Non si possono governare i gruppi parlamentari dall’esterno chiudendoli in una gabbia». Mentre su Grillo piovono accuse feroci: dal paragone con Goebbels del montiano Mario Sberna, all’accusa del fuoriuscito M5S Giovanni Favìa di essere, assieme a Casaleggio, «politicamente sporco».
Al caso immigrazione ieri se n’è aggiunto un altro, quello scatenato da un altro «post» pubblicato sul Blog di Grillo da Paolo Becchi, ideologo vicino al movimento, che esortava a chiedere la messa in stato di accusa per il capo dello Stato, auspicando le sue dimissioni e la sconfitta delle larghe intese. «Ha esercitato le sue prerogative al di là dei limiti previsti dalla Costituzione, ha snaturato il senso politico e morale della figura del capo dello Stato», scrive il professore e aggiunge: «Che Napolitano abbia violato o meno una norma giuridica», per lui va chiesto l’impeachment. Perché? Becchi parte dalle parole che lo stesso Napolitano pronunciò nei confronti di Francesco Cossiga nel 1991: «Il precipitare della grave questione costituita dai comportamenti sempre più abnormi e inquietanti del presidente della Repubblica non è che l’ultimo anello della spirale involutiva che sta stringendo il Paese».
«Chissà se Napolitano si ricorda ancora delle sue parole. Che ne è, oggi, del “senso della misura al Quirinale”?», chiede Becchi. Per lui le dichiarazioni del capo dello Stato su indulto e amnistia «segnano un punto di non ritorno». «È innegabile che l’effetto politico dei provvedimenti auspicati non sarebbe che uno: salvare il Caimano». Cioè Berlusconi. Un’accusa alla quale Napolitano ha già risposto ribattendo al M5S: «Se ne fregano dei problemi del Paese». Becchi chiede quale diritto abbia il «garante della Costituzione, ad attaccare esplicitamente l’opposizione parlamentare» per una critica a un provvedimento ritenuto sbagliato. Il presidente dovrebbe essere super partes, fa notare Becchi, «non può servirsi delle proprie prerogative per determinare la politica del Paese, incidere sulla formazione del Governo, impedire lo scioglimento delle Camere». E accusa: Napolitano ora non rappresenta più l’unità della Nazione, ma una parte, quella che ha voluto le larghe intese. «Per questo — conclude — la messa in stato d’accusa ha un valore. Indipendentemente dal giudizio che, su di essa, darà poi la Corte Costituzionale».
Immediate le polemiche. «Richiesta ridicola» accusa Luigi Zanda, capogruppo del Pd al Senato, insinuando che serva ad «alzare un polverone» e coprire le difficoltà interne al M5S. «Risibile e inaccettabile», rincara Pino Pisicchio presidente del gruppo Misto. «Una carnevalata», aggiunge Andrea Romano di Scelta Civica. Controreplica grillina del vicecapogruppo Federico D’Incà: «C’è la volontà di capire se siamo a un presidenzialismo nascosto, un presidenzialismo di fatto. E se è venuta meno la figura del presidente come garante». Aggiunge Fraccaro: «Impeachment? Di sicuro lo chiederemmo se dovesse disporre la grazia per Berlusconi».
Virginia Piccolillo


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