C’è una nuova energia, che adesso vuole contare

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In questo momento i numeri della produzione da fonti rinnovabili sono tra le poche buone notizie del 2013. Qui sta il paradosso, nei primi 9 mesi dell’anno il 35% dei consumi elettrici è stato soddisfatto da impianti solari, eolici, da biomasse, idroelettrici, geotermici. Un’ottima notizia da un punto di vista ambientale – meno inquinamento e meno emissioni – ma anche del paese, perché vuol dire meno importazioni di fonti fossili, più lavoro e riduzione dei costi alla borsa elettrica. Invece, il racconto a cui si assiste da parte della classe dirigente e politica del paese è tutto al contrario. Poco ci manca che il fotovoltaico non venga accusato di aver generato la crisi economica, mentre l’eolico è già oramai da diverso tempo accomunato dai principali quotidiani e opinionisti alla mafia. E qui sta la grande questione politica che abbiamo tutti di fronte. Dare ragione a chi chiede di fermare questo cambiamento, perché sta mettendo in crisi i grandi gruppi energetici, e di conseguenza il sistema bancario e di potere. Ossia fidarsi di chi oggi chiede di puntare su carbone e trivelle (alla ricerca del petrolio italiano) come ieri faceva con il nucleare.
Oppure scegliere di portare fino in fondo una sfida di cambiamento energetico che è radicalmente diversa, perché distribuita e quindi incontrollabile per alcuni. La prima fase di sviluppo delle fonti rinnovabili, spinta da incentivi oggi cancellati dai governi Monti e Letta, ha portato alla diffusione di oltre 600mila impianti nel territorio. Oggi si potrebbe aprire una seconda fase che non avrebbe bisogno di incentivi, perché oggi molte delle tecnologie sono mature e si possono cogliere appieno i vantaggi di un modello che avvicina la domanda di energia e una produzione pulita e efficiente, gestita con reti intelligenti e sistemi di accumulo direttamente negli edifici o nelle aziende. Il problema è che questa rivoluzione «dal basso» è concretamente ostacolata.
I campioni della «libertà di impresa» sono dalla parte di chi vuole impedire una vera liberalizzazione al servizio dei cittadini. Nel comune di Prato allo Stelvio (Bolzano), dove grazie ad una vecchia legge una cooperativa di cittadini – che coinvolge anche il comune e altre realtà locali – ha preso in gestione la produzione e la vendita ai soci dell’energia generata da impianti rinnovabili, il risultato è stato straordinario. Il risparmio in bolletta per le famiglie è stato pari al 30% per l’elettricità e al 50% per il riscaldamento, ossia oltre 2.000 euro a famiglia all’anno oltre che minore inquinamento, nuovo lavoro e servizi più efficienti. È un caso? Per ora sì e qualcuno vorrebbe che rimanesse tale, isolato e inaccessibile ad altri comuni, condominii o distretti di imprese. Nulla infatti preoccupa come la possibilità di aprire all’autoproduzione da fonti rinnovabili e alla gestione delle reti locali con contratti di vendita diretta. Le scelte prima di Passera e poi di Zanonato hanno reso praticamente impossibili queste innovazioni, ostacolando la possibilità di scambiare energia prodotta da impianti rinnovabili con la rete elettrica (tanto produco con il mio impianto sul tetto, tanto prendo dalla rete, ossia il sistema di scambio sul posto), chiudendo le porte a qualsiasi innovazione. Addirittura l’Autorità per l’energia da 5 anni rinvia l’approvazione delle regole per i sistemi di gestione di reti e utenze locali (SEU e RIU i nomi tecnici) che permetterebbero – come avviene in Germania -, a comuni, cooperative e aziende, di realizzare questo tipo di innovazioni.
Sono questioni troppo serie per lasciarle agli addetti ai lavori o far decidere ai soliti interessi forti. Perché è in gioco qualcosa che va ben oltre l’energia. Comincia il 26 ottobre dai Fori la strada per una Italia rinnovabile e dunque più moderna, più pulita e più equa. L’unica in grado di liberarci dalle fonti fossili che fanno male alla salute delle persone, danneggiano l’ambiente e aggravano la crisi economica.
*Vicepresidente Legambiente


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