“Cambiare sì, ma verso sinistra per dire addio alle larghe intese” in campo Civati, l’anti-governo

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ROMA — «Ma quando devono finire queste larghe intese? Lo chiedo agli altri candidati, perché al congresso il giudizio deve essere chiaro». Pippo Civati ha scelto su quale terreno sfidare Renzi, Cuperlo e Pittella, suoi rivali nella corsa alla segreteria del Pd. È quello, spinosissimo, della alleanza con il Pdl, della durata del governo Letta. Un terreno su cui Civati si muove liberamente, visto che non neanche votato la fiducia all’esecutivo, cercando di occupare tutto lo spazio a sinistra che i suoi avversari gli lasciano. «Il mio giudizio è noto, io sono contro le larghe intese, per me devono finire una volta approvate la legge elettorale e quella di stabilità». E il sindaco di Firenze? Da oggi a domenica dirà la sua alla Leopolda, ma per ora non si spinge a tanto, non viola quel patto di non belligeranza stretto col premier. Però una stoccata al governo delle larghe intese gliela dà. «Enrico è molto più saggio e più prudente di me — esordisce renzi a Radio Deejay— Io sono un po’ più radicale e penso che ci vorrebbe una rivoluzioncina in Italia, nel fisco, nella burocrazia, nella giustizia, nella pubblica amministrazione e anche l’establishment finanziario e bancario».
Anche Civati vuole una rivoluzione, ma deve avere una direzione precisa. Del resto basta uno sguardo alla platea del teatro Vittoria, la location romana scelta per il lancio della sua campagna, per capire quale pezzo di Pd si muove attorno al deputato di Monza. Molti giovani ma anche molte facce della sinistra vecchia e nuova del partito: da Laura Puppato a Vincenzo Vita, da Felice Casson a Corradino Mineo, da Walter Tocci a Andrea Ranieri. Non c’è Fabrizio Barca, che però ha già spezzato una lancia per l’amico Pippo: «La sua mozione è un atto coraggioso». L’intesa con Vendola è esplicita. «Nichi, fratello mio, dove ti abbiamo lasciato?». Bisogna recuperare «al più presto l’alleanza con Sel e offrire agli elettori uno schieramento di sinistra che vada da Prodi a Rodotà». Solo così, sostiene Civati, si potranno ricondurre all’ovile quei tre milioni di voti persi nelle ultime elezione. Vendola ricambia la mano tesa: nelle mozioni dei candidati pd — dice in una intervista a l’Unità — c’è «una rimozione del presente » (larghe intese, crisi economica). In tutte tranne in quella di Civati.
Ed è sempre partendo da sinistra che il deputato di Monza lancia l’affondo contro il suo ex compagno di rottamazione. «Cambiare verso va bene Matteo, ma bisogna anche intendersi su quale verso. Perché io ho l’impressione che molti stiano scivolando a destra, verso una notte in cui, come dice Hegel, tutte le vacche sono nere. Anzi — ironizza — non si vedono neanche più le vacche». E invece bisogna ricordarsi che il Pd «è nato per cambiare la sinistra». Che vuol dire anche non inseguire il consenso a tutti i costi. E qui l’attacco al sindaco di Firenze è diretto: «Non bisogna avere paura di essere impopolari e si deve parlare anche di carceri e poveri, anche se non è figo o cool. Insomma non bisogna piacere a tutti, ma a qualcuno e saperlo rappresentare».
Se c’è invece un punto di riferimento saldo nel progetto di Civati quello è Romano Prodi. Intanto perché «sarà parecchio incazzato » dopo il rinvio a giudizio di Berlusconi per quella compravendita di senatori condotta contro il suo governo e poi perché «cambiare significa anche scoprire chi sono i 101 parlamentari democratici che lo hanno silurato e denunciarli ». Per poi offrire al fondatore dell’Ulivo «la tessera numero uno del Pd del 2014. Ma — scommette il deputato di Monza — sarà dura convincerlo». La rottamazione però Civati non l’ha abbandonata. Non va bene, ad esempio, che dopo la non vittoria del 2013 si sia dimesso solo Bersani. La promessa è che se vincerà lui «cambierà tutto il gruppo dirigente». Però, ammette, è più probabile che lui arrivi secondo, «che è meglio anche perché chi arriva primo diventa segretario e soffre, mentre chi arriva secondo finisce che fa il premier». Un riferimento ironico forse a Letta, o alle ambizioni di Renzi. Che vengono comunque di nuovo stoppate da Gianni Cuperlo: «Matteo vuole fare il segretario del Pd, il candidato premier e il sindaco di una grande città. Ma tutte e tre le cose non si possono fare». Soprattutto però Cuperlo rivolge una supplica a Bruno Vespa, che lo intervista a “Porta a Porta”: «Basta domande su Renzi, se vuole gli do il suo numero di telefono… »


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