Cresce la società dei senza lavoro (fisso)

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La crisi ha fatto emergere una zona grigia dove la disoccupazione bordeggia e spesso si confonde con la sotto-occupazione, mentre sono sempre più numerosi i lavoratori che rinunciano a cercare un lavoro regolarmente retribuito in maniera continuativa. In questa zona grigia non ci sono solo i disoccupati ufficialmente censiti (3,07 milioni), ma anche 2,99 milioni di persone che al momento non cercano un lavoro, anche se sono disponibili a svolgerne uno. E ci sono anche coloro che pur non essendo disponibili subito a lavorare a tempo pieno, o parziale, lo farebbero volentieri. Secondo l’Istat, in Italia esistono almeno 6 milioni di disoccupati, inattivi, scoraggiati, persone in cerca di lavoro o che non rientrano nella sfera del lavoro «ufficiale», in una parola sono «potenzialmente occupabili» e vivono in una società dove il lavoro fisso è evaporato lasciando spazio ad attività informali, parziali, non retribuite o alla disoccupazione.
La vasta gamma delle definizioni usate anche dall’Istituto nazionale di statistica per interpretare i dati sull’occupazione e la disoccupazione del secondo trimestre 2013 restituisce la complessità del lavoro, e del non lavoro, dopo cinque anni di crisi, in un paese dove la disoccupazione è al 12,2%, quella giovanile tra i 15 e i 24 anni è arrivata al 41,7% e molto più ampia è la sfera del precariato difficile da descrivere con i soli numeri. Nel dettaglio, la mappatura ha registrato 2.899 milioni di persone tra i 15 e i 74 anni inattive, ma disponibili a lavorare, con una percentuale dell’11,4% superiore di tre volte alla media europea del 3,6% nel trimestre corrispondente. A questa cifra vanno aggiunte 99 mila persone che, pur cercando un lavoro, attualmente non sono disponibili a lavorare. Tra gli «inattivi», ci sono 1,3 milioni di persone definite «scoraggiate», cioè coloro che non cercano più un lavoro pur potendo svolgerne uno.
Nel mezzogiorno il dramma investe sempre di più i giovani. Secondo le statistiche, infatti, nel sud del paese ci sono 1,46 milioni di persone disoccupate (su 3.075 milioni a livello nazionale). La metà di chi non lavora ha un’età compresa tra i 15 e i 34 anni, cioè 1.538 milioni. Se si restringe il campione per età anagrafica, tra i 25 e i 34 anni i disoccupati sono 935 mila. Se, invece, osserviamo i dati sull’inattività, ben 1,9 milioni su 2.899 milioni vivono nelle regioni meridionali. Tra di loro, le più colpite sono 538 mila persone tra i 15 e i 24 anni e 720 mila tra i 25 e i 34 anni.Solo in Campania, gli inattivi occupabili sono 567 mila, il 28,6% rispetto al totale degli occupati nella regione contro l’11,4% della media nazionale e a fronte del 5,4% della Lombardia. A questo va aggiunto il numero dei disoccupati pari a 435 mila nel secondo trimestre. In totale, in Campania il popolo dei senza lavoro (fisso) è pari a un milione di persone. Situazione peggiore in Calabria dove le forze lavoro potenziali raggiungono il 30% della popolazione attiva. Poco sotto si classifica la Sicilia con il 29,8%. 650 mila sono i sotto-occupati e oltre 2,5 milioni sono occupati con un «part-time involontario», costretti a lavorare con questo contratto – spesso precario – in mancanza di un’attività dipendente continuativa. Questa categoria è aumentata di oltre 200 mila unità solo nell’ultimo anno.
Nella zona grigia descritta dall’Istat si trovano in maggioranza i più giovani,comunque i potenzialmente più attivi. Sono diplomati, laureati con o senza esperienze, che non possono contare su nessuna forma di tutela, a cominciare dal reddito minimo. L’Italia, non ci stancheremo mai di ricordarlo, è l’unico paese europeo insieme alla Grecia, a non disporre di questa elementare misura di tutela contro il ricatto lavorativo in tutte le sue forme (inoccupazione, sotto-occupazione, disoccupazione, precariato fino al lavoro in nero). Centinaia di migliaia di giovani sono costretti a vivere in casa dei genitori, o comunque a dipendere economicamente da loro. Secondo i dati diffusi ieri da Coldiretti, in questa cornice si riscopre l’occupazione nel turismo e nella ristorazione. Le iscrizioni negli istituti alberghieri, di turismo o agrari hanno doppiato quelle nelle scuole industriali (+46 mila contro 21 mila). Il 9% degli iscritti alle scuole superiori spera di ottenere così un lavoro perlomeno pagato. Pochi soldi, maledetti e subito.


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