Il Cavaliere: ora basta sto già all’opposizione

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 SOLO le insistenze dei mediatori, del solito Gianni Letta, lo hanno convinto in serata a rimettere nel cassetto la più violenta delle note sfornate da Palazzo Grazioli. Nel mirino, il Partito democratico reo di aver sostenuto la battaglia per il voto palese in giunta assieme al M5s, ma soprattutto il governo di Letta e di Alfano. Fa sapere che ha voglia di parlare in aula, il Cavaliere, leone ferito ma non ancora abbattuto. Lo farà il giorno del voto sulla sua espulsione che, gli assicurano, ora potrebbe slittare a dopo la legge di stabilità, dunque all’ultima settimana di novembre. Tempo che gli tornerà utile per lavorare sui senatori ritenuti più border line.
Ma la rottura col governo per lui è ormai in atto, l’ufficializzazione solo rinviata di qualche giorno. Il vicepremier e i quattro ministri Pdl che hanno compiuto la loro scelta, quella di non assecondare la richiesta di dimissioni, per lui «appartengono già a un altro partito, succubi del Pd». Lo aveva detto a brutto muso ad Alfano nel tormentato vertice notturno di martedì. L’ex segretario Pdl ha confermato il no alla crisi, l’ennesimo, mettendo agli atti la rottura forse definitiva. Così, quando ieri a ora di pranzo i quattro ministri si preparavano a raggiungere Palazzo Grazioli per il pranzo con il leader, hanno ricevuto la disdetta proprio dal capo delegazione Alfano: «Berlusconi non ci vuole più». Colazione annullata. E il vicepremier non ci metterà più piede per il resto della giornata. L’ex premier invece preferirà invitare Sandro Bondi e Denis Verdini, inseparabili falchi. Come pure qualche ora dopo Daniele Capezzone e Giancarlo Galan. E in serata Raffaele Fitto. È già Forza Italia in movimento. «Non c’era motivo che venissero a pranzo, a loro non ho più nulla da dire — racconta agli interlocutori del pomeriggio un Cavaliere fuori di sé — Tutti questi signori mi avevano garantito che non sarebbe mai passato il voto palese. E invece, come al solito…». Ora il dado è tratto. Lascia trapelare che a Bruno Ermolli, Ennio Doris, Guido Bertolaso e a Marcello Dell’Utri avrebbe affidato il compito di selezionare nuove leve per la Forza Italia 2.0 e rinnovare l’intero (o quasi) parco parlamentari. Come se davvero le lancette potessero
tornare al ’94. Solo nel tardo pomeriggio arriva la nota di solidarietà di Alfano al leader. «Troppo tardi: sono sotto attacco dei giudici, avevo bisogno di un partito unito e loro mi hanno tradito il 2 ottobre e continuano a farlo». Ha gradito ancora meno il fatto che i due capigruppo Schifani e Brunetta, dopo averlo incontrato nel pomeriggio, siano andati dal premier Letta e dal suo vice Alfano a Palazzo Chigi per la cabina di regia sulla legge di stabilità che sta per approdare in Parlamento. Al presidente del Consiglio i pidiellini chiedono tempo per condurre in porto la loro strategia. Chiedono che il Pd accetti di rinviare il voto di decadenza — dato per imminente entro la prima metà di novembre — dopo l’approvazione della legge di stabilità. Non solo perché questo garantirebbe un via libera più agevole. Ma anche perché la valanga di emendamenti berlusconiani già preventivata entro la scadenza del 14 novembre potrebbe fare da innesco alla scissione, nel momento in cui i 5 ministri Pdl prenderebbero le distanze. Una disponibilità di massima il premier Letta l’avrebbe garantita. Ma è col Pd, intenzionato ad accelerare ormai sulla decadenza del senatore condannato, che bisognerà fare i conti.
Intanto ha già dato mandato a Verdini di accelerare sulla raccolta firme in suo sostegno per convocare a breve il Consiglio nazionale del partito che dovrà sancire il passaggio a Forza Italia e di fatto la rottura con i governativi. Il tutto, anche lì, prima della decadenza. Cosa accadrà un minuto prima o un minuto dopo è ancora da decidere, racconta chi è uscito da Palazzo Grazioli. «Io scommetto su Enrico Letta costretto presto a risalire al Colle» gigioneggia sicuro in buvette il “lealista” Saverio Romano. Il Cavaliere è davvero intenzionato a rompere col governo ma sta facendo i conti in queste ore, come sempre, con le resistenze dei vertici dell’azienda. Fedele Confalonieri continua a restare contrario. Il leader ormai è incontenibile. La tesi dell’avvocato Niccolò Ghedini, anche lui ieri a Grazioli nelle ore più drammatiche, ha fatto breccia: «Peserò di più da capo dell’opposizione che da senatore che sostiene il governo». Nei giorni scorsi ha sentito anche l’ideologo del M5s Paolo Becchi, per sondare la reale consistenza dei dissidenti grillini. Quante truppe lo sosterrebbero nella battaglia contro il Quirinale per chiedere il ritorno al voto?


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