Alcoa, l’unica promessa è sulla cassa integrazione

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CAGLIARI. L’ennesima protesta degli operai Alcoa, che lunedì in trecento hanno manifestato davanti al Mise, il ministero per lo sviluppo economico, si è conclusa, ancora una volta, con un rinvio. Tutto ciò che i sindacati sono riusciti a ottenere è la promessa di valutare la possibilità di un altro anno di cassa integrazione per i circa 400 lavoratori di cui la multinazionale dell’alluminio aveva annunciato la mobilità, e un generico impegno a verificare se ci sono le condizioni per una conclusione positiva della vendita al gruppo svizzero Klesch. Il prossimo appuntamento è per il 31 ottobre al ministero del Lavoro sulla cigs, mentre il 6 novembre a Cagliari si affronterà, con l’assessore regionale al lavoro, il nodo dell’indotto, perché diverse aziende hanno inviato le lettere di licenziamento. Per finire, il 13 novembre, vertice al Mise per fare il punto sullo stato di attuazione del piano per il Sulcis, che il governo Monti si era a suo tempo impegnato a definire per il rilancio dell’intero settore industriale del Sulcis e che sembra essere svanito nel nulla.
La delusione e la rabbia degli operai dello stabilimento di Portovesme si sono manifestate lunedì sera al termine dell’incontro al ministero, quando si è arrivati quasi allo scontro con i reparti di polizia. L’esplosione di alcuni candelotti ha ferito leggermente due agenti e solo l’intervento tempestivo dei dirigenti sindacali ha evitato la carica dei reparti schierati in assetto antisommossa.
La lunga vertenza Alcoa è quindi ancora in una fase di stallo. Tutto comincia nel 1995. Sino a quell’anno lo stabilimento di Portovesme apparteneva all’Allumix, una partecipata Efim, quindi capitale pubblico. Quando, in adempimento al credo neoliberista, l’onda lunga delle privatizzazioni arriva anche in Sardegna, l’Allumix viene venduta all’Alcoa, uno dei leader mondiali del settore. Per un po’ le cose vanno bene, ma Alcoa non tarda ad accorgersi che in Italia, e soprattutto in Sardegna, alcuni fattori produttivi hanno un costo troppo alto rispetto ad altre aree del mondo. Costa troppo l’energia e costa troppo la manodopera. A partire dal 2008 i maganer a capo della multinazionale americana cominciano ad avvertire che entrambi le voci di spesa sono decisamente superiori rispetto ai valori medi vigenti sui mercati internazionali. Nel novembre del 2009 arriva la decisione choc: nel Sulcis non è più conveniente produrre, quindi si chiude. Gli operai reagiscono in maniera molto energica: manifestano a Roma il 26 novembre, all’indomani della decisione dell’azienda di chiudere, e poi a febbraio del 2010. Alcoa ritira temporaneamente la decisione di andar via dalla Sardegna in attesa di avere risposte dal governo su una possibile riduzione almeno dei costi energetici. Ma c’è un ostacolo quasi insormontabile, che si chiama Ue. Il 19 novembre del 2009, infatti, dalla Commissione europea arriva, per Alcoa e per il governo italiano, una multa salatissima a titolo di sanzione per le agevolazioni concesse al gruppo Usa nel 2004 e nel 2005 con lo scopo di ridurre il costo delle forniture di energia. A Bruxelles ora considerano quelle agevolazioni «aiuti di Stato» e conseguentemente stangano sia l’azienda sia le autorità italiane.
Quando Alcoa acquistò la fabbrica di Portovesme dall’Allumix, per dieci anni, dal 1995 al 2005 ottenne una sensibile riduzione della bolletta energetica, che però non venne considerata «aiuto di Stato» perché era un incentivo concesso per portare a buon termine la privatizzazione dell’Efim (processo virtuoso per la Ue). Nel 2004 e nel 2005 il governo italiano, guidato da Silvio Berlusconi, proroga gli aiuti. La Commissione europea interviene subito con uno stop: la fase di privatizzazione è chiusa, quindi niente più aiuti. Secondo i dati forniti dal governo ai sindacati, la somma complessiva che dalle casse statali è finita in quelle dell’Alcoa a partire dal 2004 è pari a un miliardo di euro, più altri due miliardi nei dieci anni precedenti, quelli della privatizzazione. Un gioco che è finito con Monti, e che Letta non sembra intenzionato a riaprire. Per gli operai Alcoa la strada è tutta in salita.


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