Alfano scopre il “metodo Boffo”

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 COME quella che colpì l’ex presidente della Camera, e prima di lui un altro ex, l’allora direttore dell’Avvenire Dino Boffo, e ancora il giudice Mesiano, e poi il giudice Galli, per finire con un’altra toga, Antonio Esposito, l’origine di tutti i mali di Berlusconi, il magistrato che l’ha condannato per Mediaset e che rischia di far perdere a Silvio lo scranno di palazzo Madama.
Alfano vede, come in un film, passargli davanti le immagini delle vittime della “macchina del fango”. Boffo, un direttore costretto alle dimissioni, tuttora provato emotivamente da quella vicenda al punto da non volerne neppure parlare. Fini, sappiamo com’è andata a finire. Neanche lui vuole parlarne. I giudici, forse i più “resistenti” perché temprati negli anni dalle accuse di Berlusconi. Certo l’Alfano di ieri non aveva mai definito quelle campagne delle “macchine del fango”.
Le chiamò così Giuseppe D’Avanzo su Repubblica quando scrisse del caso Boffo. Adesso che l’Alfano di oggi si è imprudentemente definito «diversamente berlusconiano» e si ritrova attaccato dal Giornale, può condividere quella geniale definizione. Gli altri protagonisti della rivolta contro i falchi, Quagliariello, Lupi, Lorenzin, De Girolamo, non hanno dubbi. È macchina del fango. L’idea è chiara, associa inevitabilmente Alessandro Sallusti — che reagisce con un «sono allibito, neppure io ho paura» — alla compagna di Sallusti medesimo, il super falco Daniela Santanchè. Dunque una campagna «non giornalistica» dicono le “vittime”, ma un’aggressione politica, in cui si spende appositamente il nome di Fini, l’uomo e il politico che, non a caso, proprio Santanchè detesta per i passati trascorsi dentro An. Si fa presto ad arrivare alle conclusioni, Alfano è «un traditore» come Fini, va «silenziato» con il gruppetto che gli sta intorno, se non capisce c’è la “macchina del fango”.
Lei, Santanchè, si sdegna. «Questa storia non la voglio neppure percepire». Sta per chiudere il telefono. «Questo è un argomento che non c’è. Sarebbe come dire che nevica rosso. Basta conoscere Alessandro, lui fa il suo lavoro, io il mio, niente interferenze ». Sallusti non risponde neppure al cellulare, affida la sua reazione alle poche parole della mattina, «ho già pagato con la detenzione squallide minacce alla libertà d’espressione». Stop. Eppure, nel gruppo dei ministri alfaniani c’è chi ricorda come proprio all’epoca del caso Boffo il partito fu attraversato dal rifiuto di quella campagna che aggredì l’ex direttore sul piano più strettamente intimo.
Pure Alfonso Signorini, il direttore del settimanale Chi, ricorda oggi che definì allora «irresponsabile » la campagna contro Boffo perché «la sfera privata, i discorsi sulla sessualità e sulla religione, sono strettamente tutelati dalla privacy». Sul banco degli accusati per aver pubblicato un servizio sullo shopping natalizio del pm Ilda Boccassini, vissuto anch’esso come una “macchina del fango” contro il magistrato protagonista del caso Ruby, Signorini pronuncia subito un secco “alt”. «Una cosa è il caso Boffo, ben altro un servizio, come ne pubblichiamo tanti, su un personaggio famoso di cui abbiamo commentato delle foto. Quanto ad Alfano, gli fa onore che prenda le distanze adesso da una storia da cui io le ho prese non appena è accaduta. Ma il buon senso non ha né tempo, né colore». E il riferimento a Fini? Qui Signorini sta con Sallusti: «Quella fu una “signora inchiesta”, non c’era accanimento, l’avrei fatta pure io». Mentre su Boffo «la pressione psicologica fu devastante».
Una risata scappa invece a Maurizio Belpietro, il direttore di Libero.
«Sì, mi fa ridere questa storia della “macchina del fango”, basta che uno fa una critica e subito scatta una definizione che non condivido affatto. È una stupidaggine, e comunque Alfano se ne sarebbe potuto accorgere anche prima. Quella di Sallusti è solo un’opinione politica, anche se scritta con passione. Sai che ti dico? Qui c’è una sola questione, Alfano e gli altri non sopportano il paragone con Fini, perché quella è una ferita tuttora aperta nel centrodestra». Boffo, Fini, Mesiano, Boccassini, Galli, Esposito… I nomi degli obiettivi del Giornale vengono citati da uno dei cinque ministri che dice: «No, con noi non faranno lo stesso ».


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