Assalto al terminal dell’Eni, gas a rischio

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ROMA — Sabato notte un gruppo armato di miliziani berberi con tre barconi è riuscito a salire su una nave dell’Eni nel porto di Mellitah e di fatto a occupare il terminal più importante per l’Eni in Libia. Sono berberi “amazigh”, una forte minoranza in Libia, circa il 10 per cento della popolazione, da sempre marginalizzati nell’area della “montagna occidentale”, ad Ovest di Tripoli. I miliziani berberi hanno avviato un sit-in che per il momento è rimasto pacifico: non hanno ancora chiuso il gas, hanno issato sul porto e sulla nave dell’Eni la bandiera degli amazigh e hanno ripetuto le loro richieste al governo centrale. Vogliono avere più dei due rappresentanti previsti per loro nella nuova Assemblea costituente, da eleggere chissà quando. E vogliono che la lingua amazigh sia riconosciuta come una delle lingue ufficiali della nuova Libia rivoluzionaria. ma naturalmente hanno lanciato il loro ultimatum: «O ci rispondete entro sette giorni, oppure blocchiamo tutto, chiudiamo anche il gas verso l’Italia».
Il gruppo è lo stesso che sempre nella Libia occidentale ma molto più a sud, a Wafa, ha già chiuso un tratto del gasdotto Eni in direzione di Mellitah. Costringendo l’operatore italiano e il suo socio libico a ridurre del 50 per cento la portata del tubo. Una fonte italiana che in queste ore segue la crisi spiega che «adesso la minaccia a Mellitah è molto grave, da lì sono capaci di bloccare del tutto il Greenstream», il gasdotto che porta il gas a Gela.
Il governo libico in queste ore rincorre i manifestanti che da un capo all’altro del paese alzano la posta delle loro richieste, bloccando pozzi e terminali di imbarco per farsi ascoltare meglio. Il premier Alì Zeidan sta provando a negoziare: ieri è volato a Tobruk per siglare l’accordo per la riapertura del terminal petrolifero di Marsa Hariga. Un altro giacimento, quello di Sharara cogestito dalla spagnola Repsol con la National Oil Company libica, dovrebbe riaprire entro 24 ore: era stato occupato dai tuareg. Come ormai è chiaro a tutti in Libia si è innescata una dinamica di disgregazione progressiva in cui perfino un possibile percorso federale, di divisione del paese fra Tripolitania e Cirenaica, può essere messo a rischio dalle esplosioni improvvise che questa o quella milizia possono creare. Nei giorni scorsi uno dei leader emergenti della Cirenaica ha creato un “governo autonomo” della regione orientale del paese con base a Bengasi. Ibrahim Jadhran, il giovane ex capo della “Petroleum Facilities Guard” il 17 agosto scorso di fatto si era nominato capo di un “Ufficio del Consiglio Politico della Cirenaica”, alzando a sua volta la posta dell’autonomia di tutta la sua regione da Tripoli e dal Fezzan. Adesso Jadhran ha creato il “governo” della Cirenaica: i ministeri ci sono tutti dall’Interno, agli Affari religiosi, allo Sport, Giustizia e Cultura. Manca soltanto quello degli Esteri, perché Jadhran vuol far passare a Tripoli messaggio che la «la soluzione può essere una Libia federale, non vogliamo fare politica estera».
Al moltiplicarsi delle milizie armate, al blocco dei pozzi di petrolio, al federalismo o comunque alla divisione politica del paese, in queste settimane si aggiunge un altro fattore pericoloso. La crescita esponenziale della criminalità. L’altro ieri un furgone della Banca centrale libica è stato assaltato vicino Sirte. Trasportava 40 milioni di euro, era scortato soltanto da un’auto della polizia.


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