Con l’indulto fuori 24 mila detenuti Amnistia, il conto dipende dai reati

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La seconda estingue il reato e, se vi è già stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e delle pene accessorie. L’ultimo indulto è stato votato dal Parlamento nel 2006: tre anni di condono significarono circa 30 mila detenuti in uscita (per quasi tutti i reati, compresi quelli di sangue, la corruzione e la concussione) con un «crollo» delle presenze in carcere, da 68 mila a 38 mila. In 7 anni, dunque, l’effetto indulto è quasi evaporato visto che al 30 settembre 2013 i detenuti erano 64.758 a fronte di una capienza regolamentare di 47.615. L’ultima amnistia, invece, risale al 1990 quando ancora bastava la maggioranza semplice (e non i due terzi) per varare un atto di clemenza: «È concessa l’amnistia per ogni reato non finanziario per il quale è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni…».
Ecco, tanto per prendere subito il toro per le corna, ha dunque ragione il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri quando dice che è «una falsa idea» quella che attribuisce all’amnistia un valore salvifico per Silvio Berlusconi già condannato a 4 anni per frode fiscale (pena massima 7 anni): «Decide il Parlamento quali reati toccare e non è mai successo che si occupasse di reati finanziari». Diverso il discorso per l’indulto: Berlusconi ha già usufruito di quello del 2006 (3 anni condonati) e potrebbe beneficiare «in parte» anche del nuovo atto di clemenza qualora, al momento del voto finale in Parlamento, stesse ancora «scontando» l’anno residuo ai «servizi sociali».
Giorgio Napolitano ha scritto alle Camere: tra i «rimedi straordinari» da considerare, «l’indulto è la prima misura che intendo richiamare all’attenzione del Parlamento» perché «può applicarsi a un ambito esteso di fattispecie penali (fatta eccezione per alcuni reati particolarmente odiosi). L’indulto di 3 anni, stima il capo dello Stato, inciderebbe sull’uscita dal carcere di almeno «24 mila detenuti condannati in via definitiva con pena detentiva residua non superiore ai tre anni».
Più delicati i calcoli sugli effetti dell’amnistia: tra i reati da escludere, Napolitano cita quelli di «rilevante gravità» come «i reati contro le donne» e rimanda comunque al Parlamento il compito di «perimetrare» la legge di clemenza. Nel 1990, il Parlamento pose il tetto a 4 anni ed escluse numerosi reati: quelli commessi in occasione di calamità naturali, quelli compiuti da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, il peculato, la corruzione, la turbata libertà degli incanti, l’evasione, il commercio e la somministrazione di medicinali usati, le manovre speculative su merci, gli atti di libidine violenti, l’usura, il danneggiamento al patrimonio archeologico, ecc. Meno selettivo è, invece, il meccanismo dell’indulto. Spiega Donatella Ferranti (Pd), presidente della commissione Giustizia della Camera: «Se il messaggio del capo dello Stato parte dalla necessità di fornire una risposta alla Corte di Strasburgo sul numero dei detenuti, andiamo a vedere quali sono realmente i reati che producono il sovraffollamento come quelli previsti dalla legge Fini-Giovanardi sulle droghe». Patrizio Gonnella di «Antigone» stima che il 37% dei condannati e il 40% dei detenuti in attesa di giudizio debbano rispondere di un reato collegato alla Fini-Giovanardi.
Sui tempi per proporre un rimedio al sovraffollamento (l’indulto avrebbe effetto immediato), c’è tempo fino al 28 maggio 2014 quando la Corte, in mancanza di risposte, scongelerà 2.000 ricorsi di altrettanti detenuti che per l’Italia significherebbe un onere di 20 milioni di euro. Ma un segnale dovrà arrivare entro novembre quando la Commissione per gli interventi in materia penitenziaria, presieduta da Mauro Palma, dovrà fornire al Guardasigilli le linee guida di un «piano di rientro» credibile per i giudici di Strasburgo.
Dino Martirano


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