Dollari e nuove rotte, i miliziani dei barconi

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ROMA — Arrivano dal Corno d’Africa, dall’area subsahariana, ma anche dalla Tunisia e dall’Egitto. Aspettano giorni, settimane, addirittura mesi prima di cominciare un viaggio che sempre più spesso finisce in tragedia. Pagano almeno 2.000 dollari, il doppio se il mare è mosso e si deve utilizzare un barcone più grande. Si affidano alle bande criminali composte da scafisti e comandate da ex miliziani del regime di Gheddafi. Sono loro i nuovi trafficanti di esseri umani. Personaggi spietati che si sono riciclati dopo la guerra e adesso gestiscono le partenze dalla Libia.
Sono circa 30 mila i migranti partiti dalla Libia e sbarcati nel nostro Paese nel 2013 — 26 mila in Sicilia di cui 11.686 tra Lampedusa e Pantelleria — migliaia potrebbero essere morti durante la traversata. Ma altre decine e decine di migliaia sono pronti a partire. Ed è questa la realtà che allarma i responsabili della sicurezza, convincendo il governo italiano della necessità di coinvolgere l’intera Unione Europea in una strategia unitaria che porti a ripristinare i pattugliamenti in mare. E preveda una reale cooperazione più volte promessa, però di fatto mai attuata dal punto di vista operativo, e soprattutto per quanto riguarda gli stanziamenti. Perché le ultime segnalazioni trasmesse dagli ufficiali di collegamento italiani che si trovano in Africa assicurano che il vero rischio arriva dal Kenya dove si trova uno dei campi profughi più affollati del mondo.
Si chiama Dadaab, è gestito dall’Alto commissariato per i rifugiati e ospita circa 500 mila persone. La maggior parte sono somali, molti di loro sono richiedenti asilo. Ma tantissimi altri vengono «avvicinati» dai trafficanti, pronti a tutto pur di avere «merce» umana da imbarcare, che li convincono a seguirli. Gli analisti sono convinti che sarà proprio questa l’emergenza umanitaria da fronteggiare nei prossimi mesi, che si unisce a quella proveniente dell’area della Tripolitania, in Libia. Perché è lì che si sono trasferiti almeno 15 mila siriani fuggiti dalla guerra e pronti a ripartire per raggiungere l’Europa.
Dopo la chiusura quasi totale della rotta che passava dal confine tra Turchia e Grecia, quella che porta alle coste della Sicilia, ma anche della Calabria, rimane di fatto l’unica via possibile. Anche tenendo conto che la politica repressiva della Spagna ha scoraggiato gli approdi in quel Paese rendendo l’Italia meta preferita dagli scafisti. Dunque viene costantemente battuta, ormai anche quando le condizioni del mare appaiono proibitive. Non ci sono controlli, i ministri libici della Difesa e dell’Interno non hanno alcun potere né capacità di fermare i trafficanti, nonostante l’impegno più volte assicurato alle nostre autorità.
La presenza dei miliziani nelle bande criminali ha favorito la possibilità di trovare grandi barconi sulle coste tunisine e portarli poi in quella fascia a nord della Libia per farli salpare, seguiti da un mezzo più piccolo per il trasferimento in mezzo al mare. Si muovono da Zwara, più frequentemente da Misurata. Spesso da Zliten, che si trova a pochi chilometri di distanza. La maggior parte dei migranti non sanno neanche dove si trovano. I trafficanti li lasciano giorni e giorni in attesa sulle spiagge, oppure li ammassano in casolari vuoti. Poi li caricano sui mezzi e li fanno partire. Uomini, donne, bambini, non c’è differenza di posto o di prezzo. Dal primo agosto ne sono arrivati oltre 10 mila. Il cambio di imbarcazione avviene spesso in mare aperto, più raramente in prossimità delle coste. Ma non c’è differenza, il rischio di naufragio è altissimo, come dimostra quanto accaduto ieri.
Proprio da Zliten dovrebbero essere partiti gli oltre 500 migranti poi abbandonati davanti a Lampedusa. Altre migliaia di stranieri aspettano di intraprendere lo stesso viaggio. Merce umana inconsapevole del reale pericolo di essere mandati a morire, o forse pronti a tutto pur di cercare un’altra vita.
Fiorenza Sarzanini


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