Electrolux, fabbriche italiane a rischio Sei mesi per evitare la fuga in Polonia

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Mentre il governo sta lanciando il suo ambizioso progetto di attrazione degli investimenti stranieri (Destinazione Italia) da una delle multinazionali più radicate nel Belpaese, la svedese Electrolux, è arrivata una mossa in contropiede. Ieri infatti i vertici del gruppo hanno annunciato una serie di tagli del personale (2 mila unità) che iniziano dalla chiusura di una fabbrica in Australia e coinvolgono, da subito, 200 impiegati degli stabilimenti italiani. Ma la prospettiva inquietante è un’altra: che gli svedesi decidano di chiudere tutte le fabbriche italiane (Porcia, Susegana, Forlì e Solaro) giudicate non competitive sul versante del costo del lavoro. Ufficialmente ieri l’amministratore delegato del gruppo Keit McLuoghlin ha annunciato che sarà lanciata «un’indagine di competitività sostenibile sulle quattro fabbriche» in seguito alla contrazione di vendite registratasi sul mercato europeo. La procedura è inedita, prevede il coinvolgimento del sindacato e una sentenza definitiva solo nell’aprile 2014, evidentemente si vuole lasciar il tempo alle autorità nazionali e locali di intervenire per predisporre strumenti alternativi.
Da tempo a Pordenone si attendeva con timore un aut aut degli svedesi che avevano fatto slittare gli annunci solo perché in estate erano riusciti a intercettare una grossa commessa Ikea e avevano fatto lavorare l’impianto di Susegana addirittura in pieno Ferragosto. Ma l’estate è passata e i problemi invece sono considerati strutturali, da qui la mossa di ieri che ovviamente ha allarmato i sindacati. «Quasi sempre le investigazioni — hanno dichiarato i responsabili locali di Cgil-Cisl-Uil — portano alla chiusura delle unità produttive che le hanno subite». Anche l’ex ministro Maurizio Sacconi ha commentato duramente la notizia. «Electrolux ha dichiarato l’intenzione di abbandonare l’Italia sottraendoci un’antica cultura industriale ma il gruppo ha continuamente oscillato tra i prodotti di alta gamma e quelli più poveri senza realizzare da tempo significative innovazioni. Non è vero che l’Europa occidentale è inadatta alle produzioni del bianco e lo dimostrano i risultati del gruppo tedesco Bosch».
È chiaro che avendo gli svedesi a suo tempo rilevato la grande tradizione Zanussi si guarda alle loro scelte con trepidazione e anche con qualche risentimento ma è pure vero che il settore degli elettrodomestici è attraversato da una crisi profonda che non riguarda solo il gruppo scandinavo, come sanno bene i sindacati e i lavoratori investe della Indesit, della Antonio Merloni e della veneta Acc. Ma a Pordenone quella che si teme è una totale delocalizzazione di posti di lavoro e cultura industriale a favore della Polonia. Come ha documentato di recente un accurato reportage di un giornalista friulano, Giuseppe Ragogna, esiste nella Bassa Slesia, alle porte di Wroclaw, un distretto degli elettrodomestici estremamente competitivo che ha già attirato gli investimenti delle multinazionali e degli stessi svedesi e che appare il punto di approdo più probabile dell’annuncio di McLuoghlin. Olawa è una cittadina di 30 mila abitanti che sta replicando il modello di sviluppo nordestino e già ospita una fabbrica Electrolux dalla quale ormai esce un milione di pezzi. Il punto di forza dell’industria polacca del bianco è rappresentato da retribuzioni operaie attorno ai 600 euro, grazie a un costo orario del lavoro di 11 euro contro i 24 dell’Italia.
Per tentare di recuperare terreno la mini-riduzione del cuneo fiscale promessa dal governo Letta non sembra a prima vista uno strumento efficace, ci vorrebbero molte più risorse o comunque una riduzione aggiuntiva e selettiva destinata al solo settore degli elettrodomestici. È questa la misura che la proprietà dell’Electrolux in qualche modo si aspetta e aver scelto di attendere l’aprile 2014 prima di emettere il giudizio definitivo sulla competitività delle fabbriche italiane è la riprova di questo orientamento. Le prime dichiarazioni in merito da parte del ministro Flavio Zanonato hanno fatto per lo più riferimento alla necessità di un’iniziativa comune europea a difesa dell’industria ma è chiaro bisognerà elaborare altre risposte. Tra gli addetti ai lavori – e la dichiarazione di Sacconi lo prova c’è anche la convinzione che le grandi marche dell’elettrodomestico che operano in Italia siano state troppo rinunciatarie sul terreno dell’innovazione tecnologica. Ma si può riparare in zona Cesarini oppure è troppo tardi?
Dario Di Vico


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