Esposto dei giudici contro Boccassini

by Sergio Segio | 25 Ottobre 2013 8:10

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MILANO —¬I giudici penali del Tribunale di Busto Arsizio hanno sottoscritto e inviato al Consiglio superiore della magistratura un documento sul procuratore aggiunto e capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, Ilda Boccassini, nel quale chiedono all’organo di autogoverno delle toghe di valutare le affermazioni a loro avviso «gratuite», «denigratorie» e «generiche» pronunciate dal pm l’11 ottobre alla Bocconi sui «giudici di provincia che, con tutto il rispetto, non capiscono nulla». Dal Csm i magistrati di Busto vogliono sapere da un lato «se esse siano deontologicamente corrette» per un pm, e dall’altro lato «se non delegittimino i giudici» proprio mentre costoro trattano processi con detenuti di criminalità organizzata nei quali l’accusa è rappresentata dal pool milanese di Boccassini.
L’11 ottobre assieme al collega di pool Paolo Storari, e ai vertici della Procura di Roma Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino (già alla guida di Reggio Calabria negli anni della fruttuosa collaborazione con la Dda milanese nell’operazione «Infinito-Crimine»), Boccasini era intervenuta alla presentazione dello studio «L’espansione della criminalità organizzata nell’attività d’impresa al Nord», realizzato dalla Camera di commercio di Milano con la Bocconi, in collaborazione con Assimpredil, Ance e il Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, sotto la direzione scientifica dei professori Alberto Alessandri e Giovanni Fiandaca. Una ricerca che tra l’altro riassumeva come, rispetto ai 762 indagati nel 2000-2010, 1 su 5 fosse un imprenditore, e nel 12,8% dei casi addirittura organizzatore e/o promotore dell’associazione criminosa. Dopo 406 archiviati, fra i 315 rinviati a giudizio solo 23 (dati relativi al primo grado) sono stati assolti. I primi processi che sono intanto approdati in Cassazione sono per ora tornati in Appello, dopo che la Suprema Corte (nei casi Parco Sud, Cerberus e Paparo) ha annullato alcune posizioni sulla questione giuridica appunto di quali siano nel Nord Italia i parametri di una associazione di stampo mafioso. Altri segmenti di dibattimenti sono stati celebrati dai pm milanesi per competenza territoriale non a Milano ma in altre sedi, come appunto Busto (ad esempio l’operazione Bad Boys, che ha retto anche in Cassazione) o Pavia, dove invece un’imputazione di voto di scambio a carico di un ex vicesindaco e di un ex direttore dell’Asl è sfociata in una assoluzione confermata poi in Appello a Milano dal collegio presieduto da Alessandra Galli, la giudice anche del processo Mediaset.
Nel convegno in Bocconi, dunque, Boccassini aveva lamentato che nel 1992 l’iniziale progetto legislativo di accentramento delle risorse e capacità investigative in capo a una unica Procura per ogni distretto giudiziario, motivato dalla necessità di affrontare l’unitarietà di organizzazioni come Cosa nostra e ’ndrangheta, e da lei fortemente condiviso, fosse però rimasto orbo, a suo parere, della mancata introduzione di una contemporanea competenza a livello distrettuale anche per i Tribunali. Con il risultato, secondo Boccassini, di disperdere, in tanti diversi processi davanti a tanti diversi Tribunali, quella precomprensione (quasi culturale prima che giuridica) di substrati e codici mafiosi che il pm ritiene imprescindibile e acquisibile soltanto da una specializzazione anche dei giudici in questi processi. Tema però molto delicato, perché è sottile il confine tra le esigenze di efficacia e competenza (pezzo forte delle tesi pro-specializzazione) e invece i rischi di condizionamento interno, di preponderanza «culturale» della cornice del pm ai danni della difesa, di sacrificio degli automatismi a garanzia del giudice naturale.
In questo contesto Boccassini aveva aggiunto: «Una visione globale la può avere solo il Tribunale distrettuale, ma non sono mai stati attivati. E questo è un problema serio. Se no, dobbiamo (noi della Dda di Milano, ndr ) andare a fare i processi a Busto Arsizio, a Como, a Lecco, e Reggio Calabria deve andare a Locri, a Palmi: il che significa polverizzare il tutto, e mettere nelle mani di giudici di provincia che, con tutto il rispetto, non sanno nulla». E ora a Busto Arsizio i giudici del settore penale (Bossi, Bovitutti, Frattini, Guerrero, Lualdi, Novick, Zoncu) investono il Csm per farsi dire se sia deontologicamente corretto il comportamento del pm e se quell’espressione non sia tale da delegittimare il loro lavoro.
Luigi Ferrarella

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