Fiat Melfi, ancora contrasti tra azienda e operai

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Dal 24 settembre Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli hanno varcato i cancelli dello stabilimento Fiat di Melfi. Sono i tre operai della Fiom licenziati nel 2010 a causa di uno sciopero che procurò loro l’accusa di sabotaggio. Lo scorso luglio, infatti, la Cassazione ha stabilito il reintegro dei tre respingendo il ricorso di Fiat. Tre gradi di giudizio hanno riconosciuto la liceità del reintegro per i tre operai, assieme alla condotta antisindacale dell’azienda.Ma è davvero tutto finito? Quella dei tre operai non è, infatti, l’unica vicenda processuale dello stabilimento lucano a coinvolgere operai della Fiom. Ci sono altri processi in corso, come spiega l’avvocato Ameriga Petrucci: «Avevamo presentato nel 2012 quattro procedure ex 700 (ricorsi d’emergenza c.p.c. ndr) tutti assieme, con la causale della discriminazione sindacale».

Sono i ricorsi per quattro operai spostati nel 2011 dalla catena di montaggio a un altro reparto, la ex Itca.Si tratta di Michele Corbosiero, che soffre di cardiopatia e ipertensione, Marco Forgione, operato per un tumore (di loro due L’Espresso scrisse qui), Sergio Gallo, anche lui cardiopatico e Michele Rauseo, che soffre di lombosciatalgia e ipertensione. Tutti e quattro vengono trasferiti nel capannone della lastratura, detto ex Itca, che sta lontano dalla fabbrica – più vicino alle aziende dell’indotto – e dunque del presidio medico dello stabilimento. E lì ci sono i fumi della lastratura. «Nell’agosto del 2011 ho avuto un malore, e ho aspettato l’ambulanza per mezz’ora perché la ex Itca è lontana anche dal presidio medico dello stabilimento Fiat», racconta Corbosiero.I ricorsi dei quattro operai si separano: Marco Forgione è assegnato a un giudice, i rimanenti tre ad un altro. Nel maggio 2012 il Tribunale di Melfi ha dato ragione a Marco Forgione, giudicandolo inadatto a lavorare alla ex Itca e riportandolo al montaggio. «Mi hanno anche offerto un posto in ufficio ma ho rifiutato per principio», racconta. Gli altri tre, invece, hanno aspettato a lungo: «Le prime tre udienze sono state condotte da un giudice che stava per andare via, poi tanti rinvii. Ora siamo arrivati a un anno e mezzo di attesa», spiega l’avv. Petrucci. Lo scorso 11 settembre il giudice Sciascia ha emesso l’ordinanza per uno dei tre, Sergio Gallo, in cui lo ritenene idoneo al lavoro alla ex Itca.Ora però potrebbe cambiare tutto. Perché nel frattempo il Tribunale di Melfi è stato assorbito da quello di Potenza, e le cause di Corbosiero e Rauseo passano al giudice Verrastro. Lo stesso giudice che nel 2012 ha dato ragione a Marco Forgione, stabilendo che sarebbe dovuto tornare alla catena di montaggio.

CONDOTTA ANTISINDACALE

“Michele Corbosiero ha cominciato a lavorare a 14 anni come apprendista meccanico in un’officina”, così dice la relazione medica di quello che oggi è un 47enne con 16 anni in Fiat dietro le spalle. Michele, che è uno dei ricorrenti, non avrebbe certo immaginato da ragazzino che 33 anni più tardi, dopo un infarto e un intervento, si sarebbe ritrovato in questa situazione. Una percentuale considerevole “dei lavoratori trasferiti alla ex Itca sono tesserati Fiom”, leggiamo nel ricorso dell’avv. Petrucci all’ordinanza riguardante Sergio Gallo. Continua: “… componenti del direttivo Fiom di fabbrica, come Michele Rauseo e Rosa Santoro, simpatizzanti Fiom, testimoni/informatori, come Marco Forgione, nella nota azione giudiziaria (…) riguardante il licenziamento di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli”.Ma mentre per Forgione il giudice ha accolto la causale discriminatoria, nelle restanti tre cause (Corbosiero, Rauseo, Gallo) non è andata alla stessa maniera. Nell’ordinanza dell’11 settembre in cui si ritiene Gallo idoneo alla ex Itca il giudice Sciascia non accoglie la parte sulla discriminazione – ovvero sull’esercizio e attività della libertà sindacale – e prende in considerazione unicamente la tutela del diritto alla salute. Ora però la palla passa in mano al giudice Verrastro, che aveva aperto l’istruttoria proprio sulla causale discriminatoria per Forgione.

IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Il secondo dibattimento, dunque, quello di Corbosiero, Rauseo e Gallo, si era finora concentrato unicamente sulle condizioni di salute dei tre ricorrenti e sulla loro idoneità alla ex Itca. Ma i documenti di valutazione del rischio (DVR) relativi agli operai non ci sono. «Il DVR serve a capire i movimenti di carico, i rischi chimici, il tempo del ciclo, le criticità come richiesto dal Testo Unico. Fiat è inadempiente dal settembre 2012», spiega l’avvocato Petrucci. Il giudice Sciascia, infatti, il 17 settembre 2012 richiamava Fiat Sata a presentare i documenti: “Ordina alla parte resistente di esibire in giudizio, entro la fissanda udienza, copia del Documento di valutazione del rischio”. Questi documenti non verranno mai depositati. «La scheda di valutazione rischio valuta la macchina in relazione alla mia persona», spiega Michele Rauseo, uno dei tre lavoratori in causa. «Lo deve compilare il medico competente in base alle mie patologie e alla mia postazione».I MONITORAGGI DI FENICE PER FIAT

In assenza dei DVR sono stati messi agli atti una serie di monitoraggi effettuati da Fiat Sata negli scorsi anni: è a questi documenti che farà riferimento la perizia del consulente tecnico d’ufficio (Ctu) nominato dal giudice Sciascia, Gigliola De Nichilo. I monitoraggi vengono commissionati da Fiat Sata nel 2010 e nel 2011 alla società Fenice S.p.A, sotto processo per l’inquinamento provocato dall’inceneritore di Melfi. Per il medico di parte degli operai, dott. Umberto D’Orsi, si tratta di documenti inattendibili perché: “… privi della necessaria condizione di attualità (…) valutazioni ambientali e lavorative non attuali non dimostrate, non indagate”. Le date di questi monitoraggi risalgono all’arco temporale tra il settembre 2010 e il marzo 2012, mentre il sopralluogo disposto dal giudice è stato effettuato alla ex Itca il 13 dicembre 2012. Il consulente tecnico risponde alle critiche dei medici di parte, che chiedevano nuovi monitoraggi, spiegando di non aver potuto procedere: “Senza opportuna delega da parte del giudice, senza alcuna dotazione strumentale ed organizzativa”.

IL SOPRALLUOGO

Il 13 dicembre 2012 il consulente tecnico De Nichilo assieme al giudice Sciascia, ai medici di parte (Zefferino e D’Orsi per i tre operai, Lo Izzo capo dei medici fiduciari in Fiat Sata) e a gli operai effettuano il sopralluogo alla ex Itca. Qui gli operai si rendono conto che qualcosa non quadra: la ex Itca sarebbe stata risistemata nei giorni subito precedenti l’ispezione. «Abbiamo insistito perché venissero verbalizzate le modifiche – racconta l’avvocato Petrucci – perché era l’unico modo che avevamo per farlo rilevare al magistrato».Racconta l’operaio Corbosiero: «È stato pitturato a terra, sono state fatte le modifiche sugli aspiratori, l’impianto della saldatura andava piano». Continua: «I pezzi della lavorazione sono pieni di olio, quel giorno erano tutti puliti, nemmeno una goccia».

Scrive il Prof. Zefferino, nelle sue osservazioni alla relazione del Ctu: «… quel giorno la paratia, perfettamente funzionante, restava un po’ di più durante la saldatura (aspirando maggiormente i fumi ndr)… Nessun particolare era unto da olio minerale… i pomelli (delle finestre ndr) erano “nuovi di zecca”».Ora, si diceva, potrebbe cambiare tutto, con un nuovo giudice. Lo stesso giudice che per la causa di Forgione aveva accolto la causale della discriminazione sindacale. Questi tre ricorsi finora condotti sul terreno del diritto alla salute potrebbero aprirsi ad includere, ancora una volta, la questione della libertà sindacale nello stabilimento lucano.Nel frattempo i tre operai continuano a lavorare alla ex Itca, coi turni dettati dalla cassa integrazione. «Il 18 luglio qui vicino è morto un operaio dell’indotto», dice Michele Corbosiero, che soffre di cardiopatia. «A 800 metri da qui, alla Proma. Ha avuto un infarto ed è morto sul colpo, l’ambulanza è arrivata dopo 20 minuti e il medico dal presidio Fiat Sata anche più tardi, perché stiamo troppo lontani», riflette Michele, che lavora da quando ha 14 anni. «Aveva la mia età, quell’operaio».


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