Giustizia e riforme, ecco l’agenda Renzi

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FIRENZE – Una sinistra «senza puzza sotto il naso», senza miti fondativi né reliquie da custodire. Matteo Renzi chiude la «tre giorni di terapia di gruppo» alla Leopolda davanti a settemila persone e apre il cantiere del nuovo Pd, che non avrà paura di smantellare totem e sfatare tabù. Niente è intoccabile e tutto è rottamabile, per il sindaco che parla da segretario e che non ha più fretta di correre a Palazzo Chigi: «Non siamo ingrifati all’idea di dire agli italiani che tra sei mesi si torna a votare». Ma non tutti nel Pd gli credono, se Beppe Fioroni osserva che «la Leopolda ha dipinto il governo come un treno al capolinea».
Renzi però non si volta. Il suo obiettivo non sono le urne, è il cambiamento. Chi ha detto che non si può riformare la giustizia, anche quella penale? Perché un innocente deve farsi un anno di carcerazione preventiva? Ed è possibile che non si possa criticare l’Europa o fare le pulci ai sindacati, che non certificano nemmeno i loro bilanci? «Una sinistra che non cambia si chiama destra».
Promette che sarà il «custode del bipolarismo» e che mai più si faranno «giochini sulle spalle degli italiani». Basta larghe intese e questo «per essere coerenti con quello che Enrico Letta ha detto». Al suo popolo di «barbari» dà appuntamento alla Leopolda 2014, un anno di vita per il governo e un anno per verificare quel patto in quattro punti con cui si è candidato alle primarie: riforme, giustizia, scuola, lavoro.
«La storia di Silvio ci dimostra che dobbiamo fare la riforma della giustizia», ma non è di Berlusconi che sta parlando. È la storia di Silvio Scaglia l’emblema di una «riforma ineludibile», la storia del fondatore di Fastweb che ha passato un anno in carcere da innocente: «Vergogna! Abbiamo parlato per vent’anni di una giustizia ad personam». E se lui su Berlusconi tace è perché alla Leopolda «si parla di futuro».
Le riforme, allora. Fine del bicameralismo, autocritica sul Titolo V, abolizione delle province… «Io dell’appello dei costituzionalisti non so che farmene. Non è un dramma se qualche politico torna a lavorare». E la legge elettorale? «Aspettano di capire se difendiamo il porcellum o il porcellinum», Cuperlo lo sfida a dire se vuole cambiarla davvero e Renzi insiste con la legge dei sindaci, che non nasconde «inciuci» e si può fare «senza cambiare la Costituzione».
E l’Europa? Ha fatto «un disastro» scegliendo la signora Ashton come commissario agli Esteri. Al premier dice che «i parametri Ue si possono discutere» e che il debito pubblico va messo «in ordine per i nostri figli e non per far contenta la Cancelliera». Annuncia una iniziativa sul Mediterraneo e un «job act» entro il primo maggio contro la disoccupazione, chiede che fine abbiano fatto i soldi delle primarie, smentisce che l’italianità si difenda «guardando il passaporto» di chi compra le aziende… Declina parole come speranza e dignità, quindi invita a ripartire dagli asili nido per far crescere il Pil. E a chi gli fa l’esame su quanti libri ha letto strappa di mano un altro vessillo della vecchia sinistra: «Con la storia del ’68 continuano a raccontarci la loro storia, che non è quella vera». Al Nazareno vuole gente nuova e «la prima a essere rottamata sarà la corrente dei renziani». Parola al bando: autoreferenzialità. Primo comandamento: «Leadership non è una parolaccia». E la nota poetica la ruba a Baricco: «Il futuro è il posto dove voglio vivere».
È tutto studiato, nei dettagli. Ma giura che il «guru» alla Casaleggio non c’è, non è Gutgeld e non è Gori.
La «rivoluzione della semplicità» è già nel linguaggio, privo di incrostazioni retoriche. La metafora calcistica e quella rubata alle vele dell’America’s Cup: «Occhio alla sindrome di New Zealand, che era avanti 8 a 1 e perse 9 a 8…». Ma intanto, a colpi di battute, un Renzi in jeans e camicia bianca rovescia stereotipi e butta giù steccati.«Smettiamola con i renziani della prima ora e quelli dell’ultimo minuto — accoglie Franceschini, Nencini, Migliore —. Ma che, siamo pazzi?». E a Cuperlo: «Il problema non è se non ci sono le bandiere del Pd sul palco, ma se non ci sono le croci sulla scheda». E mentre renziani e bersaniani litigano sul tesseramento gonfiato da Trastevere a Catanzaro — e Franceschini, dalla Latella, assicura che gli organi interni verificheranno — lui si impegna a riportare al voto non solo gli elettori del Pd, ma anche i delusi di Grillo e quelli di Berlusconi. «Non sei di sinistra se parli di lavoro, ma se trovi un posto di lavoro in più». E l’ovazione scatta, assieme alle risate, agli applausi e a qualche lacrima d’orgoglio: «Bentornati a casa…».
Monica Guerzoni


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