Il punto di non ritorno

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Perché la frattura maturata il 2 ottobre scorso con il voto di fiducia al Senato ed ora confermata dalla pattuglia ministeriale del Popolo delle libertà, è stata di fatto immersa nel grande congelatore berlusconiano. Capace di ibernare tutti i processi politici che possono metterlo in difficoltà per poi allagarli per trasformarli in una palude. Ha fatto così nel 2010 quando stava per cadere sotto i colpi di Gianfranco Fini e sta utilizzando la stessa tattica adesso con il suo ex delfino. Il Cavaliere, quando si sente all’angolo, chiede tempo. Per ricaricarsi, per spuntare le armi dell’avversario in modo lecito e qualche volta nel modo più irrituale possibile.
Questa volta, però, il fronte governativo ha concesso un margine d’azione piuttosto ridotto. Entro novembre ci sarà al Senato il voto sulla decadenza. Sarà quello il momento in cui tutto precipiterà. Troppo lontana invece la riunione del consiglio nazionale del Pdl fissata per l’8 dicembre. Quando l’aula di Palazzo Madama decreterà l’uscita di Berlusconi dal
Parlamento, tutto verrà scongelato. E se il Cavaliere — come ha già annunciato — toglierà la fiducia a Letta, le “colombe” di Alfano non potranno che ribadire il loro no alla crisi di governo. E l’esplosione del Pdl sarà definitiva: la scissione inevitabile, la formazione di due gruppi parlamentari autonomi una necessità inderogabile. Se questa operazione si realizzerà, il saldo sarà il rafforzamento del governo. Con il Cavaliere all’opposizione, Letta tratterebbe solo con Alfano. A Palazzo Chigi tifano per questa soluzione. Sanno che le chance di arrivare al 2015 a quel punto si impennerebbero. Ma ci sarebbe anche una conseguenza di sistema: la prospettiva di instaurare una normale dialettica dell’alternanza tra il centrosinistra e un centrodestra finalmente europeo e non populista.
La tattica dell’attesa dunque può durare solo un altro mese. È evidente che in questa partita a scacchi, c’è anche un grande gioco del cerino. Nessuno vuole assumersi la responsabilità di determinare la spaccatura. Ma nonostante le incertezze di Alfano il punto di non ritorno è superato. Non a caso gli stessi ministri sono costretti a parlare di “separazione consensuale” e a immaginare un nuovo centrodestra formato da due partiti: il loro Pdl e Forza Italia.
Ma questa ipotesi è solo un palliativo o tutt’al più un diversivo. Perché non esiste alcuna possibilità di convivere sotto lo stesso tetto insieme a Silvio Berlusconi. La sua logica è stata sempre “o con me o contro di me”. La politica per lui si conforma come la risultante di fattori esogeni: le sue aziende e i suoi processi. Se il bilancio giudiziario o quello imprenditoriale è in rosso, lui non ci sta. In più può contare su un’arma formidabile: è un eccezionale performer elettorale. È sicuro di poter tenere ancora adesso in ostaggio il sistema politico, di bloccarlo esercitando il suo ascendente su una fetta consistente di elettorato. Anche la teatralità con cui ieri ha banalizzato lo scontro politico rientra in questa strategia. Certo con un effetto un po’ consumato rispetto al passato. Parlare in terza persona, giocare sui numeri dei partecipanti all’ufficio di presidenza, sorridere sul viaggio di Bondi in America, il tutto ha trasmesso stavolta un “quid” di appassito. Un nuovo “Predellino” appesantito dagli anni e dalla ripetitività.
Questi elementi non possono essere complementari rispetto ad un moderno ed europeo centrodestra cui si ispirano gli “ideologi” delle colombe. I ministri ormai ammettono che è emersa una incompatibilità culturale e politica con i “falchi” alla Santanchè e Verdini. Trasferire quindi questa incompatibilità dal partito alla coalizione rischia di diventare solo un alibi. Mollati gli ormeggi, i “ministeriali” del Pdl devono decidere se il loro compito è quello di svuotare l’anomalia berlusconiana e archiviarla come spera l’intera classe dirigente europea. E se possono realizzarlo offrendo una ricetta politica del tutto alternativa al ventennio berlusconiano. Altrimenti la loro operazione non potrà che essere di corto respiro. L’ossigeno mancherà già a maggio, quando si voterà per le europee. E se il partito delle colombe non reggerà l’urto, tutto di nuovo precipiterà nella nebulosa instabilità costruita dal Cavaliere e il loro progetto si modificherà inevitabilmente. Ma soprattutto le prossime elezioni parlamentari si trasformeranno nell’ennesimo duello con Berlusconi o con un suo prestanome (tipo la figlia Marina). Alfano deve dimostrare di avere la forza di archiviare il berlusconismo all’interno del recinto del centrodestra. Altrimenti toccherà al prossimo candidato premier del centrosinistra tentare la sfida per mettere una pietra sopra questo ventennio.


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