La galassia dell’ultradestra che odia l’Europa

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In Austria il 30% degli elettori sono contro l’Europa. La denuncia viene dai media tedeschi che si sono dedicati all’analisi dei risultati elettorali di domenica scorsa e fa intravedere non solo una certa preoccupazione ma anche, forse, un certo senso di rivalsa verso gli amati-odiati vicini del sud. Da noi si legge tra le righe un partito come quello che fu di Jörg Haider e oggi è di quell’allievo peggiore del maestro che è Heinz-Christian Strache non è mai arrivato tanto lontano. Partitelli nazisteggianti come la Npd o la Dvu sono arrivati al massimo in qualche parlamento regionale. E però i nemici dell’euro (e in buona misura dell’Unione europea) di Alternative für Deutschland si sono affacciati fin quasi alla soglia del 5%. In Austria, dove la clausola di sbarramento è di un punto inferiore, sarebbero entrati in Parlamento, ma neppure a Berlino possono essere considerati quantité négligeable. Soprattutto in vista delle elezioni europee della prossima primavera.

Così l’inquietante avanzata della Fpö a Vienna e dintorni a cominciare dalla Carinzia così vicina a noi italiani, dove sono diventati il primo partito ha riacceso interesse e discussioni sulle destre estreme europee. Le quali non sono un’entità omogenea, ma una galassia della quale è importante saper valutare considerare le differenze. Il rifiuto dell’Europa, o meglio delle sue istituzioni attuali come le concepiscono i Trattati, è certamente una base comune, che accomuna la relativa rispettabilità politica di Afd alle peggiori espressioni eversive e violente di Alba dorata in Grecia e a tutto quello che c’è in mezzo. Un’altra caratteristica comune è la xenofobia e il rifiuto dell’immigrazione, più o meno accentuato e teorizzato e più o meno imbevuto di esplicito razzismo. Si può aggiungere un terzo elemento, un po’ più sfumato, che riguarda il leaderismo acritico. I partiti di estrema destra, assai più che gli altri, hanno bisogno di un capo indiscusso e di un’autocertificazione di «diversità» rispetto al resto della politica.
Su tutti gli altri temi gli estremismi radicali europei si differenziano notevolmente e non esiste, per fortuna, una piattaforma comune dell’estrema destra. Alcuni movimenti esprimono una specie di «protesta contro la Storia» rivalutando le esperienze dei fascismi europei e il nazismo, come la Npd tedesca, i panslavisti russi, i fascisti ungheresi, l’italiana Forza Nuova, il Partito nazionale britannico. Altri, al contrario, non sono affatto «nostalgici» e rivendicano anzi una loro pretesa «modernità». Il Front National francese, soprattutto dopo il passaggio delle consegne da Jean-Marie Le Pen alla figlia Marine, il Partito del popolo svizzero Svp/Udc dello svizzero Christoph Blocher, il Pvv dell’olandese Geert Wilders, il belga Vlaams Blok, il partito del Popolo Danese di Pia Kjaersgaard, i partiti antitasse norvegese e svedese pretendono di esprimere essi meglio degli altri i problemi che le complessità delle società moderne diffondono in ampi strati della popolazione: la paura per le «invasioni» degli immigrati, le insidie per la sicurezza e l’ordine pubblico, il rifiuto della globalizzazione e di ogni idea di cessione di sovranità, l’ostilità verso i «signori di Bruxelles», un egoismo sociale e di gruppo apertamente ammesso e, anzi, rivendicato come un merito.
CONTRO GLI EUROCRATI
È evidente che le drammatiche vicissitudini della crisi finanziaria e sociale forniscono ormai da anni abbondante nutrimento a queste istanze. Il caso di Alba dorata ne è una testimonianza eclatante e mostra quali effetti pericolosi possano avere i diktat economici dall’esterno: una lezione che i tedeschi avrebbero dovuto rileggere attentamente nella loro propria storia quando forzarono sulle rigidità della trojka verso Atene. Anche l’avanzata che il Front National ebbe in Francia nelle presidenziali dell’anno scorso aveva la stessa radice, nella polemica contro Nicholas Sarkozy per la sua dipendenza dalla cancelliera tedesca e contro François Hollande che si preparava a tradire il tradizionale rifiuto di Parigi alle cessioni di sovranità all’Europa. Il partito di Marine Le Pen continua a lucrare su questo suo richiamo alla necessaria «indipendenza da Berlino e da Bruxelles» ancora oggi, facendone una leva di consenso nelle elezioni amministrative con l’argomento che tutte le difficoltà dei cittadini, anche a livello locale, deriverebbero dall’acquiescenza di «chi dovrebbe comandare a Parigi» alle prepotenze degli eurocrati. Il rifiuto della globalizzazione e della comunitarizzazione delle politiche non assume solo i caratteri della rivendicazione dell’orgoglio di nazione ma si sviluppa anche in una sorta di orgoglio di regione o di comunità, in una presunta «Europa dei popoli» che è nella prospettiva di movimenti secessionisti come la Lega nord italiana, il Vlaams Blok, il partito di Blocher. Anche nella Fpö, specie ai tempi di Haider, fu forte un certo sentimento indipendentista, specie in Carinzia, dove veniva fatto rivivere l’idillio reazionario della Heimat germanica insidiata da slavi e italiani.
Il quadro, insomma, è complesso. Ma dovrebbe ispirare una considerazione semplice: esiste in quasi tutti i Paesi uno zoccolo di estremismo di destra. Ma la sua forza attuale e la prospettiva che essa cresca ancora non sta tanto nella sua consistenza quanto nelle debolezze dei partiti tradizionali che se ne fanno condizionare. A destra, ma anche, talvolta, a sinistra.


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