La memoria del futuro

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Memorie cancellate. Ricordi creati dal nulla. Elettrodi che recapitano corrente agli strati profondi del cervello. Stimoli magnetici capaci di alterare la percezione del bello o del giusto. Gentili scosse da pochi milliampere che danno “la sveglia” ai neuroni. Minuscoli cervelli allo stato embrionale cresciuti in provetta anziché in un grembo materno a partire dalle cellule staminali. E l’astrofisico Stephen Hawking nel frattempo rassicura: «Raggiungeremo l’immortalità. Saremo un giorno in grado di trasferire le informazioni del nostro cervello su un supporto artificiale».
Un’idea simile — l’architettura della mente umana riprodotta nel silicio di un computer — riceverà un miliardo di euro in dieci anni dall’Unione Europea. Non di fantascienza si tratta, ma di un progetto bandiera che coinvolge 90 università e centri di ricerca in 22 paesi del continente. Negli Usa, contemporaneamente, a un’iniziativa analoga il presidente Obama ha promesso 3 miliardi di dollari.
Il santuario della nostra coscienza e personalità ha dunque smesso di essere impenetrabile. L’homo faber ha iniziato a mettere mano alla parte più sacra e protetta di sé. Dopo decenni di risultati non proprio eclatanti da parte della chimica e dei farmaci, i nuovi “artigiani” della materia grigia promettono ora risultati concreti per alcune malattie mentali. Trasmettendo un po’ di inquietudine, mescolata alla giusta speranza.

Sembra la trama di “Total recall”,maèunesperimento reale: studiando dei topolini nel suo laboratorio dell’università della California a Irvine, il professore di Neurobiologia Norman Weinberger è riuscito a inserire dei minuscoli elettrodi nel cervello fino a raggiungere la corteccia uditiva. E lì ha impiantato dei ricordi artificiali: memoria di esperienze (in questo caso uno stimolo sonoro) mai avvenute. La descrizione dell’esperimento è uscita il 29 agosto su
Neuroscience.
Weinberger oggi spiega: «La nostra ricerca dimostra che è possibile inserire nel cervello specifici contenuti di memoria. Questi ricordi sono completamente falsi: non nascono da un’esperienza. Secondo i nostri risultati sarebbe possibile creare finte memorie anche negli esseri umani, ma a questo stadio della ricerca abbiamo solo l’obiettivo di svelare come funziona il meccanismo della fissazione dei ricordi. Non ci poniamo scopi terapeutici».
Sulla stessa strada troviamo le sperimentazioni sull’uomo di un farmaco che i ricordi, al contrario, li cancella. L’obiettivo è aiutare le persone colpite da quello stress da disordine post-traumatico che affligge soprattutto gli ex soldati. La sostanza usata si chiama “Propanolol” e sabota il delicato processo che nel cervello avviene quando un’esperienza è immagazzinata sotto forma di ricordo. Questa sostanza chimica — allo studio da una decina di anni sui veterani o sulle vittime di incidenti che arrivano al Pronto soccorso — parte dal principio che tanto più un’esperienza è carica di significato emotivo (paura in primis, ma anche gioia o ansia), tanto più il ricordo sarà fissato in modo indelebile. Il propanolol attenua la risposta emotiva a un trauma. E quindi smorza la preminenza di un evento doloroso nella gerarchia delle memorie.
Cancellare o scrivere memorie come se il cervello fosse una lavagna è una delle invenzioni che nascono nel cinema prima ancora dei laboratori. In Se mi lasci ti cancello due ex fidanzati si rivolgono a una clinica per eliminare ogni traccia mnemonica della loro relazione. L’effetto, paradossalmente, è dimenticare quel che è successo e tornare a innamorarsi durante un nuovo incontro. In Total Recall una ditta promette ai suoi clienti la creazione di ricordi partendo da esperienze che si sarebbe tanto desiderato vivere. Il protagonista si fa impiantare nel cervello la memoria della vita da spia che aveva sempre sognato. Ma un problema tecnico provoca una serie di disavventure in cui si non si distingue più fra realtà e ricordi artificiali.
«Alcuni esperimenti manipolano effettivamente il cervello. E quindi manipolano anche la mente», commenta Michele Di Francesco, rettore dell’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia e uno dei fondatori della giovane Società Italiana di Neuroetica. «La memoria è la base della nostra identità e senza ricordi l’“io narrativo” si svuota. Certo, tecniche comelastimolazionecerebrale profonda promettono di migliorare i sintomi del Parkinson. Ma per le loro potenzialità, questi metodi richiedono cautela». Il rischio è che l’uomo dal “conosci te stesso” prenda una scorciatoia che lo porti al “cambia te stesso”. «Sarebbe il colmo — prosegue Di Francesco — se la nostra specie che ha sempre cambiato il mondo grazie alla sua intelligenza e cultura, ora iniziasse a cambiare anche se stessa. I momenti di crisi spesso aiutano a crescere. Se una situazione cirendetristi,lareazionemigliore è cambiare la situazione, non cancellare la tristezza».
Tra gli strumenti usati per “entrare” nel cervello e modificare i suoi circuiti ci sono la stimolazione elettrica e quella magnetica. La prima viene usata nel Parkinson o in forme estreme di depressione: un elettrodo sottilissimo viene inserito nel cervello in maniera permanente e invia piccole scosse a gruppi precisi di neuroni. Sono 700milanelmondolepersonesottoposte a questo metodo. L’americana Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) ha de-ricordi ciso una settimana fa di finanziare con 70 milioni di dollari questi stimolatori. E lo scrittore di fantascienza Michael Crichton alla tecnologia ha dedicato “Il terminale uomo”: a un epilettico viene impiantato nel cervello un computer dotato di elettrodi. Ma l’apparecchio invia impulsi errati, e il paziente diventa un criminale.
Nulla di simile è mai avvenuto nella realtà. Ma una piccola corrente all’esterno del cranio (niente a che vedere con l’energia dell’elettroshock) ha dimostrato di poter avere effetti bizzarri. A maggio, in un esperimento dell’università di Vancouver pubblicato su Current Biology, 25 volontari hanno indossato un caschetto con degli elettrodi, ricevendo una scossa da un milliampere. La loro rapidità nel fare i calcoli a mente è  migliorata fino a 5 volte.Mal’effetto è scomparso dopo sei mesi. Come funzioni il “doping” con la corrente non è chiaro, ma a giugno un altroesperimentohaaggiuntomistero al fenomeno. Una serie di scosse da 2 milliampere (10mila volte meno di una presa elettrica, elasensazionediunaleggerapuntura nella testa) ha reso i 99 volontari assai più generosi nel dare i voti alla bellezza di alcuni volti mostrati in foto. Alla tecnica si è allora interessata una ditta che produce videogiochi.LaFoc.ushamessoin vendita a 249 dollari una cuffia che somministra piccole scosse. «Rendi le tue sinapsi più veloci, con la stimolazione elettrica transcranica » recita lo slogan di una tecnologia forse fuggita troppo in fretta dai laboratori.
Altro che dibattiti sul Prozac, insomma. Con l’industria farmaceutica che nell’ambito delle ma-lattie mentali non è andata molto avanti rispetto ai principi attivi degli anni Sessanta, il nuovo orientamento sembraesserequellodiimpugnare “chiavi inglesi e cacciaviti”. L’azienda Usa Medtronic che vende apparecchi per la stimolazione elettrica sostiene di aver soddisfatto più di 100mila pazienti affetti da dolore cronico, epilessia, fame compulsiva e dipendenze più varie. «L’uso di elettrodi dentro al cervello — secondo Todd Sacktor, neurologo della State University of New York — resteràcomunquel’ultimaspiaggia, perché richiede un intervento chirurgico. Anche se questi strumenti sono utili nella ricerca, secondo me il futuro della terapia sta nell’uso sempre più perfezionato di scanner del cervello, farmaci e psicoterapia».
La transizione dalla chimica dei farmaci alla stimolazione elettrica è ciò che invece auspica Josef Parvizi, direttore del programma di Elettro-fisiologia Cognitiva a Stanford: «Il linguaggio del cervello è una combinazione di chimica ed elettricità. Finora nel provare a curare le malattie del cervello si è preferito l’approccio chimico, attraverso i farmaci. Ma il costo per il resto del corpo è stato alto. Prendiamo l’epilessia. Se assumiamo un chilo di pillole, 900 grammi finiscono in fegato, pancreas, ossa e solo 100 grammi raggiungono l’organo bersaglio, cioè il cervello. Ma 99 grammi andranno ad agire su aree cognitive che con l’epilessia non hanno nulla a che fare, dando vista offuscata, senso di svenimento, spossatezza. Un grammo solo colpirà i neuroni responsabili della malattia. Questo è un approccio brutale, che va superato. Con farmaci più mirati. Ma anche, se necessario, con l’elettricità».


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