Lampedusa, strage senza funerali

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Con i morti, 385 cadaveri, tra cui molte piccole bare bianche dove si sono inginocchiate le autorità commosse, il governo italiano non ha avuto nemmeno il buon cuore di organizzare lo straccio di un funerale. E dire che il presidente del consiglio Enrico Letta, vergognandosi pubblicamente, si era spinto addirittura a promettere solenni funerali di stato. Invece, niente. «Se avessimo saputo che non si sarebbero mai celebrati gli annunciati funerali di stato per le vittime del naufragio, prima di fare partire le salme dall’isola avremmo celebrato noi un funerale. Una cerimonia funebre per dare l’ultimo saluto alle povere vittime. Un funerale di paese, come quelli che facciamo a Lampedusa. È ingiusto seppellire i profughi senza un funerale», ha detto il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. Ingiusto, e forse qualcosa di più. Il comune di Delia, un paese vicino a Caltanisetta, ieri ha dato la disponibilità per ospitare alcune salme dei migranti morti nel naufragio del 3 ottobre. 80 sono già state seppellite ad Agrigento, 8 a Canicattì, 25 a Mazzarino, e molti paesi siciliani hanno fatto sapere di essere disponibili ad accogliere anche una sola bara per conservare la memoria. Dopo aver esibito agli occhi del mondo un po’ di commozione un tanto al chilo, li seppelliamo di nascosto qui e là.
Ma forse è inutile sprecare indignazione, meglio concentrarsi sui migranti ancora vivi, quelli che stanno sfidando il mare proprio in queste ore, come i 108 che ieri mattina sono sbarcati a Pozzallo, nel ragusano; o i 120 che ieri sera erano ancora a bordo di un gommone a sud di Malta e non riuscivano a salire su un’imbarcazione della marina maltese a causa del mare grosso. E magari chiedersi che fine faranno quando verranno intercettati nel “mare nostrum” dai nostri militari in missione “umanitaria”. Le regole d’ingaggio della missione che costa milioni di euro sono a dir poco confuse e c’è poco da star tranquilli se il canale di Sicilia verrà scrutato notte giorno dai nostri Droni predator a caccia di “mercanti di morte” (e di profughi da salvare, naturalmente).
Qualche domanda se la pone anche Amnesty International Italia, una raffica di interrogativi che Angelino Alfano, visto il silenzio di questi giorni, deve aver considerato del tutto inutili. Come si concilia il soccorso ai migranti e il controllo delle frontiere? Quali sono gli accordi con la Libia? E soprattutto: dove verranno portati i migranti salvati dalle navi italiane? L’organizzazione umanitaria vorrebbe conoscere il luogo, un nome da collocare sulla cartina geografica, il cosiddetto “porto sicuro” dove sistemare le persone salvate, visto che lo stesso ministro Alfano ha ammesso che intercettare un barcone non significa poi dare automaticamente ospitalità ai migranti sul suolo italiano. «Vorremmo avere la certezza – scrive Amnesty International – che il governo italiano non consideri la Libia un porto sicuro». Per non parlare dell’impossibilità di prendere accordi con i paesi del corno d’Africa da dove scappano i migranti, per non dire dell’Egitto o della Tunisia. Già un’altra volta, il giovane Letta non aveva dato risposte. A luglio, poco prima del suo incontro con il primo ministro libico Zidan, l’associazione per i diritti umani aveva segnalato «l’inopportunità di ogni cooperazione in materia di controllo dell’immigrazione con un paese, la Libia, che viola i diritti umani di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, sottoponendoli a detenzione sistematica, maltrattamenti e torture». C’è un altro aspetto non trascurabile che di fatto renderebbe obbligatorio caricare i migranti sulle navi per trasferirli sulle coste italiane: come ha certificato l’altro giorno il ministero degli Interni, cioè il luogo dove lavora il ministro Alfano, il 73% di chi sta tentando di sbarcare in Italia ha le carte in regola per chiedere asilo. E tra loro solo una minoranza ha intenzione di rifarsi una vita dalle nostre parti. Come i siriani, ha ricordato ieri Carla Del Ponte, membro della commissione Onu per la Siria, invitando Italia e Svizzera a non chiudere gli occhi: «Bisogna autorizzare tutti questi fuggitivi a entrare, perché poi non resteranno, ma appena tornerà la pace, rientreranno nel loro paese».


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