Le Associazioni delle Partite Iva dicono no al 33 % di aliquota

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«Dica no 33» è un appello, già sottoscritto da 12 mila persone, che chiede al governo Letta e al ministro competente Enrico Giovannini di sospendere l’aumento dei contributi previdenziali Inps che secondo la riforma Fornero dovrebbe passare progressivamente dal 27,72% di oggi proprio al 33% entro il 2018. Il primo scatto di aumento di un punto percentuale è previsto per il gennaio 2014 ed è questo il motivo della mobilitazione congiunta di Acta, Colap, Confassociazioni, Agenquadri, Consulta del lavoro professionale Cgil e Alta partecipazione. È evidente che non basta sommare delle sigle (e sottoscrivere un documento) per dar vita a una vera rappresentanza sociale per di più in un universo come quello della partite Iva caratterizzato da individualismo e atomizzazione organizzativa, ma è comunque un passaggio che merita di essere segnalato. Del resto la condizione delle partite Iva in Italia viene evocata solo nei comizi elettorali mentre a urne chiuse la politica riesce tranquillamente a dimenticarla, rendendo particolarmente acuto il deficit di rappresentanza. Così mentre (giustamente) si discute di ridurre il cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti non si sta facendo nulla per bloccare «l’altro cuneo», quello che colpisce gli iscritti alla gestione separata dell’Inps e che, secondo le associazioni firmatarie, raggiunge il 60% sommando l’Irpef ai versamenti previdenziali. Oggi una partita Iva versa all’Inps il 27,72% mentre commercianti e artigiani oscillano tra il 21 e il 24% e i professionisti iscritti agli Ordini si fermano al 14%. Le contraddizioni non si fermano qui: in passato le risorse della gestione separata sono state usate per ripianare i deficit di altri comparti e comunque quegli accantonamenti non garantiscono minimamente una pensione decente. Da qui il senso di frustrazione e la protesta dei professionisti che li ha portati per una volta a coalizzarsi.
Dario Di Vico


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