lI terminator banchiere

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«Immagina un mondo in cui le macchine controllano il destino dell’uomo. Immagina di essere l’unico in grado di cambiarlo. Prima che tu lo faccia, però, accadrà qualcosa di terribile…». Ho appena finito di leggere l’ultimo libro di Luciano Gallino. Si intitola
Il colpo di stato di banche e governi, ed è un micidiale atto d’accusa contro il sistema finanziario, “ambiente criminogeno” che ha annientato l’economia reale cannibalizzando il lavoro, distruggendo i diritti, destrutturando le democrazie. E mi torna in mente questa frase. La pronuncia John Connor, il protagonista di una saga cinematografica leggendaria, quella di Terminator.
Una fantascienza alla Philip Dick, che indaga sugli incubi di una modernità agonizzante, proiettandoli in un gioco di specchi, dove il futuro e il passato si inseguono e si confondono. John è un ragazzo che guiderà la resistenza ai cyborg, e che le macchine cercano di eliminare tornando indietro nel tempo e tentando di uccidere la madre Sarah prima ancora che lo metta al mondo. Direte: cosa c’entra tutto questo, con un saggio sulla tempesta perfetta che sta devastando l’Occidente?
Il dubbio ve lo toglie direttamente Gallino, in uno dei passaggi che riassumono la sua tesi sul ruolo nefasto giocato dalle banche, con il fattivo contributo dei governi, secondo la dottrina del neo-capitalismo dominante: «Pensare di indurre questo sistema a comportarsi meglio per mezzo di un più esteso apparato giuridico… equivale a voler insegnare a Terminator III le buone maniere per stare a tavola. Bisognerebbe invece portarlo in un’officina che lo smonti una volta per tutte, in modo da poter riservare a un sistema drasticamente ridimensionato le indispensabili funzioni economiche delle banche e della finanza». Con questa immagine
decisamente forte – il sistema finanziario globale trasformato in una “macchina” che come lo “Skynet” dei film interpretati da Schwarzenegger si prefigge di sfruttare il mondo riducendo il genere umano alla schiavitù – Gallino completa il suo viaggio al termine della notte mercatista. L’aveva iniziato con L’impresa irresponsabile, e continuato con Finanzcapitalismo.
Ora lo conclude con l’analisi di un vero e proprio “golpe bianco”, che una finanza autoreferenziale e una politica arrendevole hanno ordito a danno dei popoli. Fino a configurare un autentico “attacco alla democrazia in Europa”.
Lo sguardo di Gallino è cupo, a tratti feroce, come le pellicole di James Cameron. Terminator è tra noi, ed è ormai ad un passo
dalla vittoria finale. La “macchina”, messa a punto nei laboratori dei pensiero neo-liberista trans-nazionale, è ormai capace di auto-rigenerarsi. La finanza produce finanza. La carta genera carta. La manifattura scompare. I posti di lavoro spariscono. E in questa dissipazione programmata sviliscono vite e svaniscono diritti. Al di là di qualche coloritura ideologica, la tesi di fondo di questo libro è inattaccabile: la “GCG”, o Grande Crisi Globale, non è un accidente della storia, improvviso e imprevedibile, né un incidente del sistema, previsto e riparabile. È invece l’effetto di una scelta consapevole e tragicamente sbagliata, che i governi hanno condiviso con le istituzioni finanziarie e i think tank economici del pianeta. Il collasso dei mercati non è effetto né della recessione mondiale (creata da costi del lavoro strumentalmente giudicati insopportabili) né dell’esplosione dei debiti pubblici (gonfiati da una spesa sociale falsamente ritenuta insostenibile). Semmai è la causa dell’una e degli altri. L’accumulazione finanziaria è stata “la risposta” che le classi dirigenti hanno dato “alla stagnazione economica” e alla disoccupazione endemica.
È un Gallino apertamente “no global”, quello che ci racconta con una messe impressionante di numeri l’infanzia di Terminator, nutrito dallo sviluppo illimitato e incontrollato delle attività delle banche. Nella classifica delle top 20 mondiali, le 14 europee detengono attivi per 28,2 trilioni di dollari, mentre le 3 americane ne hanno per 5,5 trilioni. Così diventa possibile la «creazione di denaro dal nulla: In meno di dieci anni, la “macchina” immette sul mercato Ue titoli cartolarizzati per 7 trilioni di euro (quasi la metà del Pil dell’Unione), 30,5 trilioni di dollari di derivati scambiati su piazze organizzate, e 597 trilioni di dollari di derivati “Over the Counter” (di cui 58,2 trilioni di Cds, i certificati assicurazione dei crediti). A questo si aggiunge lo “shadow banking”, cioè il sistema “ombra” rappresentato da società che operano come banche senza esserlo, che solo negli Usa vale 23 trilioni di dollari. L’Occidente vive all’ombra di questa bolla immane, che si gonfia libera e irresponsabile, esplode e poi ricomincia a gonfiarsi. Politici e banchieri, riuniti in quello che Gallino chiama “il partito di Davos”, la codificano con una sorta di “costituzione non scritta”. I governi, vittime gregarie di una sindrome da “corteggiamento del capitale”, l’assecondano con strategie economiche incentrate sul taglio del Welfare e sui salvataggi bancari a carico dei contribuenti. I media, risucchiati dentro una nuova “fabbrica dell’egemonia”, la cavalcano con un conformismo che finisce per deformare la realtà.
Quel “qualcosa di terribile” di cui parla John Connor, nel frattempo, è accaduto. Terminator ha mietuto milioni di “vittime”. La crisi origina dalle disuguaglianze, e nello stesso tempo le moltiplica. Lo 0,6% della popolazione mondiale adulta detiene una ricchezza personale netta di 87,5 trilioni di dollari (pari al 39% della ricchezza totale del mondo), mentre il 69,7% ne possiede per 7,3 trilioni (pari al 3,3% del totale). Fermare la “macchina”, finora, non è stato possibile. E Gallino, che pure dedica l’ultimo capitolo del suo saggio alle tante proposte in campo per cambiare il sistema di regole e di controlli, sembra pessimista anche per il futuro. “Occupy Wall Street” è una bella utopia che i governi e la Commissione Ue, la Fed e la Bce, i fondi speculativi e quelli sovrani, finora non hanno ascoltato. Nella finanza resta valida la lezione di Ivan Boesky, padre dei raider americani arrestato negli anni ‘80: «L’avidità fa bene, penso che sia salutare». Eppure dobbiamo pur sperare in qualcosa. E ogni tanto qualcuno paga (anche se mai abbastanza da evitare che la “coazione a ripetere” del sistema non riproduca subito dopo i suoi soliti errori). Ma insomma: un “bel” giorno la Lehman finisce in Chapter 11, Bernie Madoff viene condannato a qualche secolo di carcere, JpMorgan è costretta a scucire una multa da 13 miliardi di dollari.
E anche se Gallino non sembra crederci, persino dall’Unione bancaria può venire qualche passo avanti. Il tabù di “too big to fail” viene rimesso qua e là in discussione. Contro i banchieri la critica è sana, la caccia è malsana. Far fallire le banche non è una soluzione, è parte del problema (visto che amministrano, male quanto si vuole, i nostri risparmi). Ma di fronte al «più grande fenomeno di irresponsabilità sociale… che si sia mai verificato nella storia», dio solo sa quanto c’è bisogno di denunce coraggiose come quella di Gallino. Schiaffi comunque salutari, al cinismo e al conformismo di questi tempi di ferro. Scosse comunque benefiche, alla leadership nascente di una sinistra riformista che non può limitarsi a surfare tra i fondi locusta di Davide Serra e i red carpet di Roberto Cavalli. Una scena di Terminator III. Macchine ribelli è ambientata nel cimitero in cui è sepolta Sarah Connor, madre del giovane leader della resistenza umana che “Skynet” non è riuscito ad uccidere. Sulla sua tomba c’è scritto “No Fate But What We Make”. In Italia suona così: il destino è una nostra creazione. Prima o poi un John Connor capace di smontare il “cyborg” dovrà venir fuori.


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