Muqata in festa 26 palestinesi oggi liberi Destra radicale scatenata

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GERUSALEMME.  Il rilascio dei 26 prigionieri politici palestinesi approvato domenica dal governo israeliano avverrà oggi, in tarda serata. Si tratta del secondo scaglione dei 104 palestinesi che il premier Netanyahu si è impegnato a scarcerare nel quadro delle intese che a luglio hanno portato alla ripresa dei negoziati bilaterali israelo-palestinesi. Ventuno dei palestinesi saranno rilasciati in Cisgiordania, cinque nella Striscia di Gaza.
Quelli residenti in Cisgiordania saranno trasportati, per una cerimonia ufficiale, alla Muqata, quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese a Ramallah, dove troveranno ad accoglierli il presidente Abu Mazen, i familiari e centinaia, forse più, di persone. È possibile che anche il governo di Hamas organizzi a Gaza dei festeggiamenti perché quattro dei 26 detenuti fanno parte del movimento islamico (altri tre sono del Fronte popolare per la liberazione della Palestina). In ogni caso quelli di Hamas saranno festeggiamenti sottotono per non esaltare troppo il risultato ottenuto dal rivale Abu Mazen con la ripresa delle trattative con Israele. Al contrario le celebrazioni organizzate dall’Anp si prevedono particolarmente gioiose, anche troppo. A galvanizzare il governo di Ramallah è il fatto che anche questo secondo gruppo di prigionieri (i primi 26 sono stati liberati il 14 agosto) è in carcere da prima o subito dopo la firma degli Accordi di Oslo (1993). Hanno scontato fra 19 e 28 anni e le famiglie premevano per il loro rilascio. L’Anp può perciò affermare di aver raggiunto un successo atteso dalla popolazione.
Ihab Bsiso, il portavoce di Abu Mazen, parla di «passo sul percorso intrapreso dal presidente Abu Mazen e dal primo ministro Benyamin Netanyahu che, ci auguriamo, porterà a un accordo stabile e definitivo». Un ottimismo che appare fuori luogo alla luce della grande difficoltà che incontrano i negoziati in corso e perché si scontra con la realtà sul terreno. Nelle ultime ore l’esercito israeliano ha compiuto numerosi raid in Cisgiordania dove ha arrestato almeno 20 palestinesi. E Netanyahu, ricordava ieri la stampa israeliana, ha preannunciato al segretario di stato americano John Kerry, durante l’incontro che hanno avuto la scorsa settimana a Roma, che approverà altri progetti edilizi nelle colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Il quotidiano Maariv qualche giorno fa rivelava che il governo si accinge a dare luce verde ad appalti per la costruzione di 1.500 alloggi nell’insediamento di Ramat Shlomo (Gerusalemme est) e per altri 200 in Cisgiordania.
La destra israeliana più radicale, rappresentata nel governo dal partito Habayit Hayehudi, ha alzato di nuovo la voce contro la scarcerazione dei detenuti. Il suo leader, il ministro Naftali Bennett, ha lanciato un attacco durissimo alla ministra della giustizia e capo dei negoziatori israeliani, Tzipi Livni, che ha bloccato il suo tentativo di presentare una proposta di legge volta ad impedire future liberazioni. Bennett inoltre ha ribadito che continuerà a battersi contro la possibile creazione di uno Stato palestinese raccogliendo l’approvazione immediata dei coloni e di una parte della maggioranza. Ieri sera presso la prigione militare di Ofer (Cisgiordania) era previsto un raduno delle Associazioni delle famiglie delle vittime israeliane degli attacchi palestinesi e di centinaia di coloni e militanti dell’ultradestra.
«Questa scarcerazione è del tutto inutile. Due anni fa almeno avemmo il ritorno a casa di Ghilad Shalit (il caporale tenuto prigioniero cinque anni a Gaza e liberato in cambio di circa mille palestinesi detenuti in Israele, ndr), ora invece queste decisioni ci procurano solo dolore», ha protestato Gila Feinberg, la sorella di Ian Feinberg, avvocato di una Ong ucciso nel 1993 a Gaza. Ben diverso è il clima tra i palestinesi. «Mio figlio torna a casa, mio figlio torna da me», scandiva ieri, danzando la dabke palestinese, Mariam, la madre di Najel Muqbel, atteso questa notte nel campo profughi di al Aroub.


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