Tenta l’assalto alla Casa Bianca un’ora di terrore a Washington

by Sergio Segio | 4 Ottobre 2013 7:32

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NEW YORK — Il terrore sfiora la Casa Bianca e il Congresso di Washington. Il santuario inviolabile del presidente degli Stati Uniti è in stato di allarme per un’ora, i nervi a fior di pelle, il Secret Service mobilitato in una caccia al presunto terrorista. Che alla fine si rivela essere una donna, che trasporta in auto un bambino, e non ha mai aperto il fuoco. Morirà sotto gli spari degli agenti, senza avere mai tentato di sparare lei, secondo la prima ricostruzione dellaCnn. Un caso di reazione smisurata, eccessiva, da parte delle forze dell’ordine, dovuto alla vicinanza di “obiettivi” così sensibili? L’epilogo arriva dopo un’ora di allerta, in un susseguirsi di notizie confuse, con Barack Obama chiuso dentro la Casa Bianca e informato minuto per minuto, mentre un altro cordone di sicurezza impedisce a senatori e deputati di uscire dal Congresso. Nella caccia alla presunta attentatrice interviene anche un elicottero con uno spettacolare inseguimento dai cieli a poche centinaia di metri dal Congresso. «Non è terrorismo, è un gesto isolato»: solo 75 minuti dopo il panico, il capo della Capitol Police (servizi di sicurezza del Congresso) dà una prima spiegazione che esclude ipotesi drammatiche, ma non attenua il senso di vulnerabilità della capitale.
Sono le 14.20 di Washington quando una grossa auto nera tenta di sfondare uno dei “posti di blocco rinforzati” (barriere metalliche anti-attentato) nelle vicinanze della Casa Bianca. Scatta l’allarme, sono passati appena 17 giorni dalla strage in un cantiere della marina militare proprio a Washington, la tensione è ai massimi. Il Secret Service responsabile per la sicurezza del presidente è il primo corpo a entrare in azione. Gli agenti dei servizi si lanciano all’inseguimento dell’auto nera all’incrocio tra la 15esima strada e la Pennsylvania Avenue davanti al Dipartimento del Tesoro, a due isolati dalla Casa Bianca. L’inseguimento prosegue in una folle corsa ad alta velocità, lungo quattordici isolati nel “centro politico del pianeta” le auto sfrecciano ad oltre 80 miglia, 130 km orari. La guidatrice si spinge in direzione Capitol Hill, la collina del Campidoglio che è sede di Camera, Senato, Corte suprema. Gli spari cominciano all’altezza della guardiola di sicurezza sulla Maryland Avenue e la Seconda strada. Ma a sparare sono esclusivamente gli agenti. Uno dei quali rimane ferito solo quando la sua auto va a schiantarsi contro una delle barriere di sicurezza. Nella sparatoria la donna rimane uccisa.
Alle prime notizie scatta il “lockdown”, la blindatura d’emergenza. Senatori e deputati vengono intimati di non uscire dai loro uffici, nessuno può abbandonare il perimetro di sicurezza del Congresso. Alcuni non fanno in tempo a mettersi al riparo: Bernie Sanders, anziano senatore del Vermont, è visto tuffarsi pancia a terra dietro un Suv per proteggersi da una sparatoria. La confusione dura a lungo: sulla natura del pericolo, l’identità della donna, le ragioni del suo gesto. La notizia fa il giro del mondo immediatamente, il luogo è ultra-sensibile: da quando è presidente Obama, il primo afro-americano alla Casa Bianca, le minacce di morte sono triplicate rispetto ai suoi predecessori. E la capitale federale ha ancora fresco il ricordo dell’ultima strage, provocata da un cecchino all’interno di un arsenale militare teoricamente ben protetto. Il panico accade anche in una zona affollata di turisti, la Casa Bianca è una tappa obbligata per i viaggiatori in visita alla capitale. Quando la Capitol Police leva il “lockdown” e i parlamentari barricati nei loro uffici possono finalmente uscire, fioccano le prime polemiche. “Washington è stata in preda al panico per più di un’ora, questo episodio solleva dei gravi dubbi sull’efficacia della protezione della capitale”, osserva in diretta il cronista del network Msnbc. Stavolta non c’entra la diffusione delle armi da fuoco, non è neppure chiaro se la donna ne avesse una, ma di certo non ne ha usate. Comunque, neppure le stragi nelle scuole hanno smosso la potentissima lobby delle armi e i parlamentari che le obbediscono. Nel pomeriggio dopo le 15.30 senatori e deputati erano già tornati ai loro posti, a litigare sullo “shutdown”, la serrata dei servizi pubblici, e sul default finanziario che incombe: incapaci di trovare un accordo bipartisan su leggi di bilancio, figurarsi sul tabù delle armi. Business as usual, si continua come prima. Cioè sull’orlo di una crisi di nervi, in attesa che la prossima volta il pericolo venga da un attentatore vero.

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