Una legge per impedire i controlli di massa

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Se i servizi segreti italiani cercano di ridimensionare la milionaria cattura di metadati delle nostre telefonate c’è chi in Parlamento le sta prendendo molto sul serio. Con un titolo provvisorio che può apparire un esperimento di autarchia tecnologica fuori tempo massimo («Misure di tutela della sovranità tecnologica») la prossima settimana dovrebbe essere presentato un progetto di legge anti-Prism, il programma spione della National Security Agency. A lavorarci è l’onorevole Stefano Quintarelli che ha già una prima bozza in cui si legge di «controlli di massa», «open source», «protocolli Internet». Linguaggi più da blog che da Parlamento. Ma, d’altra parte, se uno scrittore si fosse avventurato pochi mesi fa a descrivere le antenne mascherate da condotti dell’aria sui tetti dell’ambasciata Usa di Berlino per allungare un Grande orecchio nella direzione della cancelliera Angela Merkel lo avremmo accusato di scarsa fantasia. Evidentemente anche gli 007 non ne hanno così tanta, ma pare funzioni.
La proposta parte dal presupposto che se è già grave acquisire tutti i nostri metadati via Gmail, Microsoft, Skype, Apple, Facebook e anche telefoni fissi che sembravano l’ultima roccaforte della privacy analogica, la situazione peggiora quando il Grande orecchio ausculta lo Stato. Così il testo si propone di introdurre un divieto di acquisizione di software e hardware da parte dei soggetti pubblici senza una preventiva autorizzazione da parte del ministero dell’Interno e del Garante della Privacy.
Le eccezioni sono rappresentate da programmi open source, hardware con protocolli liberi o prodotti di un’impresa europea. Infine, anche i servizi di hosting e applicativi (banalmente siti Internet e webmail) sarebbero permessi solo con aziende che possano attestare di utilizzare sistemi localizzati in Europa. Sembra protezionismo à la français ma il caso della gola profonda della National Security Agency Edward Snowden in parte dimostra che il sogno di una rete aperta e libera è pura demagogia (ahinoi).
In realtà il mercato e diversi governo non filoamericani si stanno già spostando nella direzione pensata da Quintarelli. Boole Server è una società italiana fondata da un ex esperto di sicurezza militare, Valerio Pastore, che anche grazie all’Nsagate sta facendo affari d’oro. «I prodotti concorrenti ai nostri vengono dalla Silicon Valley — racconta Pastore — ma ora anche grandi aziende che li utilizzavano hanno chiesto il nostro intervento». Il principio è semplice. Alla base della facilità con cui la Nsa raccoglieva i metadati in Europa c’era anche il fatto che molte aziende e uffici pubblici usano algoritmi americani. È come dargli la mappa di casa in mano oltre che la serratura. «Tra i nostri clienti, per esempio, c’è il governo bielorusso che ha chiesto di fare girare i nostri prodotti su Ghost». Per gli amanti del tecnogiallo, Ghost è un algoritmo sviluppato dai potenti matematici russi negli anni della ex Unione Sovietica. «La Cina fa la stessa cosa. Tra i nostri clienti c’è infatti anche la polizia di Shanghai» racconta Pastore.
Il governo italiano invece, da buon partner Nato, usa algoritmi Usa e tecnologie Rsa (quella dei token a cui le nostre banche affidano la sicurezza). Peraltro non possiamo vantare un algoritmo di crittografia italiano. Ma tanto basta per capire che dietro una proposta di legge apparentemente autarchica c’è materiale per un dibattito serio sulla tutela dal Grande orecchio.
Massimo Sideri


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