Due giorni di «istruttoria» e i contatti con il Colle

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ROMA – «Non ha nulla da nascondere, ha fatto solo il suo dovere». Enrico Letta detta la sua nota alle agenzie di stampa, ieri pomeriggio, al termine della ricognizione effettuata. Come nel caso di Josefa Idem, di qualche mese fa, il presidente del Consiglio non dice una parola sino a quando non matura una decisione. Una decisione che è in qualche modo un attestato di fiducia, che ora andrà discusso e vagliato dal Parlamento.
Ha atteso due giorni il capo del governo prima di intervenire. Ha voluto capire sino in fondo la dinamica dell’accaduto, il contesto della relazioni fra il ministro Cancellieri e la famiglia Ligresti, ha cercato motivi di imbarazzo politico che eventualmente l’ex prefetto avrebbe sottovalutato, non li ha trovati, alla fine si è convinto che gli atti compiuti dal Guardasigilli sono stati se non ineccepibili, quantomeno più che legittimi, sotto il profilo formale come su quello dell’opportunità, amministrativa e politica.
Una ricognizione che Letta ha fatto in modo diretto, al telefono, con il ministro della Giustizia, ovviamente informando e tenendo conto delle opinioni che sul caso ha riscontrato negli uffici del Presidente della Repubblica. Essere costretto a perdere, per un infortunio inatteso, un ministro del calibro della Cancellieri avrebbe certamente terremotato il governo. Quando la ricognizione finisce Letta tira anche un sospiro di sollievo.
La decisione di far diramare ai suoi uffici quella nota in cui si dice sicuro che il candidato al Quirinale di Scelta civica, appena qualche mese fa, oggi ministro, «chiarirà tutto», è dunque innanzitutto una piena copertura politica. Letta non solo difende il membro del suo esecutivo, ma fa un passo più in là: si dice convinto che la Cancellieri avrà modo di spiegarsi sino in fondo con il Parlamento, «senza lasciare zone d’ombra», e che a quel punto la storia potrà essere ritenuta chiusa.
Il Parlamento valuti, ma il governo ha già esaurito, in modo positivo, la sua istruttoria. Del resto nelle parole di ieri del ministro si notava anche una sorta di fastidio, come per un caso montato ad arte, o comunque dato in pasto all’opinione pubblica senza tenere conto di tutti i dettagli. Le parole del procuratore Giancarlo Caselli, poi, hanno aggiunto quelle note di trasparenza che Letta ha cercato sin dal primo momento.
Trasparenza e rispetto delle sedi istituzionali: «il metodo non cambia», rilevano nello staff del presidente del Consiglio, richiamando il caso della Idem, che per una storia di riscontri fiscali fu costretta a dimettersi, come quello della signora Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov il cui rocambolesco rimpatrio, da Roma, la scorsa estate, sembrò far vacillare il governo. Almeno per alcuni lunghissimi giorni, prima che Letta intervenisse per difendere l’operato del ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
Ieri il premier per alcune ore è anche entrato direttamente nel caso. In una delle conversazioni intercettate nelle inchieste giudiziarie Fausto Marchionni, ex top manager di Fonsai, dice che Salvatore Ligresti ha parlato con Letta. Probabilmente si è trattato di Gianni, che all’epoca dei fatti era sottosegretario del governo Berlusconi. Infatti poche ore dopo la notizia fonti di Palazzo Chigi precisano che «senz’altro non può trattarsi di Enrico Letta perché il presidente del Consiglio non ha mai parlato con Salvatore Ligresti in vita sua».
Marco Galluzzo


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